Il giorno 15 marzo 2008, in occasione dell’ultima lezione del Laboratorio di formazione sociale CittadinanzAttiva, organizzato dal Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS, è intervenuto, sul tema “Responsabilità del magistrato e tutela del cittadino”, il dott. Cosimo Ferri, componente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Il dott. Ferri apre il suo intervento specificando che il Consiglio Superiore della Magistratura è l’organo di autogoverno della Magistratura teso a garantirne l’autonomia e l’indipendenza dagli altri poteri dello Stato. Parlare di autonomia e indipendenza della Magistratura è importante, in relazione al tema della responsabilità del magistrato, in quanto permette allo stesso magistrato di essere libero dai condizionamenti politici e dalla società quindi terzo, imparziale e distaccato da tutti i contesti.
Oggi il cittadino è disorientato perché spesso non ha quelle risposte certe e veloci che vorrebbe quando si rivolge alla giustizia. Al riguardo, occorre chiedersi in che modo la responsabilità del magistrato può incidere e quali possono essere i rimedi e le conseguenze.
I casi sono diversi. Si legge sui giornali che delle persone che avevano commesso dei reati di mafia sono state scarcerate, perché il giudice non aveva depositato la sentenza dopo otto anni dalla decisione, che dei cittadini vengono arrestati e poi assolti in dibattimento. Si parla spesso di errore giudiziario.
Partendo dal presupposto che la Magistratura deve fare molta autocritica in merito, al fine di migliorare e trovare un punto di equilibrio, secondo il dott. Ferri, è necessario precisare, tuttavia, che non si può responsabilizzare soltanto il magistrato, bensì bisogna capire cosa funziona e va mantenuto e cosa non funziona.
Ribadisce, sia da magistrato che da cittadino, che non si può prescindere dall’autonomia e dall’indipendenza della Magistratura dal potere politico, perché solo in questo modo si potranno garantire al cittadino libertà e giustizia.
A questo punto, il dott. Ferri entra nel vivo del suo intervento, soffermandosi sull’analisi della responsabilità del magistrato. Afferma che tra l’opinione pubblica si è diffusa l’idea, a suo avviso sbagliata, secondo cui il magistrato pur sbagliando non paga e, pertanto, precisa che come funzionario statale, anche se atipico, il magistrato è soggetto ad una responsabilità penale per quanto riguarda i reati di corruzione e concussione, una responsabilità civile, scaturita dal referendum del 1987 e in ultimo ad una responsabilità disciplinare. Il procedimento disciplinare a cui può essere sottoposto un magistrato, è ancora in corso di modifica da parte del legislatore, in quanto, mentre precedentemente alla riforma, entrata in vigore qualche mese fa, ci si limitava a parlare di dovere di correttezza, di imparzialità nello svolgimento delle funzioni del magistrato, senza tener conto di una tipizzazione dell’illecito; attualmente, invece, il magistrato ha la possibilità di conoscere le varie ipotesi di illecito, quindi, non si fa più affidamento ad una discrezionalità, a volte, poco garantista per lo stesso magistrato.
Il problema sul quale si dibatte molto e sul quale il mondo politico e i cittadini si interrogano è se sia giusto far giudicare il magistrato dalla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura oppure sia preferibile creare un organo esterno.
Riprendendo la definizione del Consiglio Superiore della Magistratura, quale organo di rilevanza costituzionale, perché considerato un potere dello Stato, che amministra e gestisce l’assunzione dei magistrati (sempre tramite concorso pubblico); la loro assegnazione ad un incarico; la loro promozione; il loro trasferimento; la nomina dei magistrati di Cassazione , la nomina e revoca dei magistrati onorari; l’attribuzione di sussidi ai magistrati e alle loro famiglie, il dott. Ferri sottolinea che il Consiglio Superiore della Magistratura è composto da dieci commissioni, i cui componenti, che restano in carica un anno, vengono nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Comitato di Presidenza, composto dal Vice Presidente del CSM, che è eletto dal Parlamento e non può essere un magistrato togato, dal Procuratore Generale della Cassazione, dal primo Presidente della Cassazione e dai membri di diritto.
Al contrario, la sezione disciplinare, l’organo giurisdizionale che decide sui procedimenti disciplinari dei magistrati quando commettono degli illeciti, è composta dai membri del CSM, che restano in carica quattro anni ed è votata da 26 componenti.
La nomina della sezione disciplinare è presieduta dal Vice Presidente del CSM, che è attualmente l’ Avv. Sen. Nicola Mancino, da un membro eletto dal Parlamento e da 4 giudici eletti dai magistrati. A volte, presiede anche il Presidente della Repubblica. A tal proposito, il dott. Ferri ricorda che il CSM è un organo misto, in quanto costituito sia da componenti eletti dal Parlamento, che sono soltanto 8 che da membri togati eletti dai magistrati.
Il magistrato condannato dalla sezione disciplinare deve impugnare la sentenza di fronte alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, mentre per quanto riguarda le attività delle 10 commissioni del CSM (come ad esempio: la mancata promozione, il trasferimento ingiusto, ecc.), il magistrato danneggiato non impugna una sentenza ma un provvedimento amministrativo di fronte al Tar Lazio. In tal senso, il dott. Ferri, ribadendo che i cittadini e il mondo politico ritengono più opportuno far giudicare i magistrati da un organo indipendente all’interno del quale non possono farvi parte gli stessi magistrati, precisa che la sezione disciplinare ha sempre svolto il proprio dovere, quindi, considera le critiche mosse a tale organismo a volte giuste, altre volte invece dovrebbero essere motivate, in quanto le sanzioni possono essere di diverso tipo: esiste l’ammonimento, la censura, la perdita di anzianità di 2 anni, la destituzione ed oggi, con la riforma, è stato introdotto come provvedimento cautelare, il trasferimento di ufficio, in attesa che si svolga il procedimento disciplinare.
A differenza dell’azione penale, il cui titolare è il Procuratore della Repubblica, i soggetti che si possono rivolgere alla sezione disciplinare sono due: il Procuratore Generale della Corte di Cassazione e il Ministro della Giustizia. Per il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, l’azione disciplinare è obbligatoria, ciò significa che deve procedere necessariamente alla verifica dell’illecito, e conseguentemente decidere se archiviare il caso oppure rinviare a giudizio della sezione disciplinare il magistrato. Per il Ministro della Giustizia, invece, l’azione disciplinare è facoltativa, ciò significa che può limitarsi a chiedere informazioni al Procuratore Generale. Il Procuratore Generale, prima di decidere se archiviare il caso, deve avere il visto del Ministro, il quale, a sua volta, non può imporre la propria decisione al Procuratore, però può intervenire direttamente e impugnare l’archiviazione.
Un altro problema di fondamentale importanza è la vigilanza. La riforma ha inserito tra gli illeciti anche la violazione della vigilanza, responsabilizzando così i capi ufficio.
Il Ministro della Giustizia dispone dell’organo dell’ispettorato, composto da magistrati, per effettuare controlli all’interno degli uffici giudiziari, cioè per verificare se ci sono ritardi e disfunzioni contabili e amministrative legate alla tempestività dei depositi dei provvedimenti. Il Ministero della Giustizia prevede annualmente delle ispezioni ordinarie, svolte dai magistrati che fanno parte del proprio ufficio di ispettorato, i quali devono stilare una relazione ed inviarla poi al Procuratore Generale della Cassazione e al CSM. Tuttavia, in relazione ad allarmi provenienti dai cittadini, possono essere effettuate anche delle ispezioni straordinarie. In tal caso, il Ministro della Giustizia manda gli ispettori a controllo e a seconda del resoconto, decide se dar via o meno all’azione disciplinare. Se decide di iniziarla, avverte il Procuratore Generale, che a sua volta la trasmette al CSM.
Uno dei problemi che più affligge il cittadino sono i ritardi e la durata dei processi. In Italia sono presenti tantissimi avvocati e ciò comporta un aumento dei contenziosi e una maggiore volontà ad intraprendere azioni giudiziarie. Per meglio regolamentare tale ambito, secondo il dott. Ferri, nel civile, il giudice dovrebbe avere il coraggio di condannare alle spese legali coloro i quali hanno iniziato un’azione temeraria senza motivo; nel penale, invece, il legislatore dovrebbe intervenire contro quegli avvocati pagati dallo Stato, che a volte potrebbero avere interesse a seguire più gradi di giudizio anziché preferire il patteggiamento.
In seguito alle condanne da parte della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo per i ritardi nella giustizia, l’Italia ha approvato la legge Pinto ( n. 11 del 1988), che prevede un risarcimento ai cittadini danneggiati dalla lentezza dei processi. In questi casi viene punito solo lo Stato italiano, in quanto, nella giurisprudenza, il magistrato può incorrere in responsabilità civili per dolo o colpa grave. Tuttavia, in entrambe le circostanze, il confine con la responsabilità penale è molto labile.
Pertanto, con il referendum del 1987 i cittadini non possono citare direttamente il singolo magistrato, ma devono denunciare lo Stato italiano, che a sua volta, può scegliere di esercitare o meno un’azione di rivalsa nei confronti del magistrato.
Esistono, infatti, tantissime pronunce di condanna nei confronti dello Stato italiano e nessuna rivalsa sul magistrato. Ciò non significa che la magistratura è una casta o che il magistrato non ha responsabilità, ma bisogna analizzare diversi aspetti: l’organico del tribunale, i mezzi che il potere politico ha affidato al magistrato, i tempi, chi ha toccato il fascicolo e perché. Esistono, poi, cause che durano molto perché gli avvocati chiedono il rinvio, soprattutto nel civile oppure perchè i testimoni non si presentano. Generalizzare e responsabilizzare, quindi, sempre e solo il magistrato non è giusto, occorre verificare caso per caso.
In relazione alla ragionevole durata del processo, grazie al referendum e alla legge n. 11 del 1988, pur non avendo risolto a pieno il problema della responsabilità del magistrato, ha messo al centro il cittadino e quindi il danno alla persona, che può essere patrimoniale o non patrimoniale. L’indennizzo è previsto anche quando il magistrato non ha necessariamente colpa.
Concludendo il dott. Ferri parla brevemente dell’errore giudiziario. Precisando che i magistrati sono tenuti a rispettare il potere politico e ad amministrare le leggi in nome e per conto del popolo italiano, come sancito dalla Costituzione e tenendo conto delle molteplici interpretazioni a cui può essere soggetta una legge, secondo il dott. Ferri, l’errore giudiziario non deve interessare l’interpretazione di una norma, perché in questo caso si andrebbe a limitare l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, quindi, la funzione del magistrato.
Agata Abbamondi
Patrizia Lombardi
Ada Mancinelli