La cultura del diritto

La presenza del dott. Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia, al X Corso del Laboratorio di Formazione sociale “CittadinanzAttiva”,  organizzato dal Centro Studi Sociali Bachelet, ha rappresentato un’esperienza di particolare intensità per i giovani corsisti. La lezione, animata dagli studenti dell’ Istituto Telesi@ e modulata secondo la formula dell’intervista, ha coinvolto  quattro studenti del Liceo Scientifico Telesi@: Chiara Rinaldi, Maria Scetta, Maria Vigliante e Venanzio Assini, coordinati dalla Prof.ssa Rossella Carlo. Strutturata a partire da un canovaccio, elaborato sulla base di alcune significative dichiarazioni del dott. Roberti, riportate dagli organi di stampa, ha affrontato alcuni punti nodali: la passione per il proprio lavoro; la possibilità, per un magistrato, di raccontarsi; il ruolo dello Stato rispetto alla lotta ai clan, al traffico illecito dei rifiuti, al consumo di stupefacenti, al gioco d’azzardo, al terrorismo islamico; il ruolo dei collaboratori di giustizia; il bisogno di scelte coraggiose; il ruolo della scuola nella promozione di una cultura della Costituzione e della legalità. La passione per la cultura giuridica, racconta il dott. Roberti, è nata in lui gradualmente, accompagnata dall’amore per i diritti dell’uomo e quindi per la magistratura. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza con 110 e lode ed è entrato in magistratura nel ’75, come uditore giudiziario. Nel  1976 ha iniziato la sua carriera in Toscana dove ha avuto la fortuna di lavorare a Borgo San Lorenzo come pretore su indagini trasmesse per competenza alla procura di Firenze. Lì ha imparato dai grandi magistrati come Pier Luigi Vigna, Tindari Baglione, Ubaldo Nannucci, svolgendo poi nel ’79  la funzione di giudice a Sant’Angelo dei Lombardi. Ha vissuto da vicino, inoltre, l’esperienza del terribile sisma che ha colpto l’Irpinia nel 1980, un’esperienza che l’ha segnato  per tutta la vita. Nel corso dell’intervista è stata sottolineata l’importanza, per un magistrato, di trasmettere le proprie esperienze ma anche la necessità di non mettersi a nudo e di non esporsi. Relativamente alla lotta ai clan, l’affermazione che il clan dei casalesi è stato sconfitto nella sua dimensione militare ed economica, in quanto sono stati sottratti beni come case e ville, non significa che lo Stato abbia vinto, perché non è riuscito ad abbattere la vera forza del clan: la corruzione. Lo stato non potrà mai vincere se non si sostengono le forze di polizia, i magistrati o se non si attribuisce il giusto valore alla scuola. La prevenzione si fa con la cultura, si fa attraverso la scuola. Per ciò che concerne i collaboratori di giustizia, non ci sarebbe, secondo il dott. Roberti, un collegamento diretto tra il 41 bis e la scelta di collaborare. Il 41 bis è una norma dell’ordinamento penitenziario che ha una funzione preventiva, in quanto colpisce il cuore delle organizzazioni, impedendo che i mafiosi in carcere continuino a dirigere i loro clan. Prevede, oltretutto, il controllo e la limitazione dei colloqui. Molti detenuti, per uscire dal carcere hanno scelto la strada della collaborazione con la giustizia, ma il percorso è molto duro, a partire dal sequestro dei loro beni. Il messaggio fondamentale del dott. Roberti consiste nella necessità di attribuire alla pena un valore rieducativo, per cui il carcere dovrà essere riservato ai reati più gravi, mentre per altre forme di reato si punterà alla scelta di forme di rieducazione che abbiano anche una utilità sociale. Nell’affrontare i temi dominanti del dibattito contemporaneo, Roberti afferma che il traffico illegale di rifiuti non è un delitto mafioso ma è un delitto di impresa, in quanto nasce da una domanda di servizi illeciti che gli imprenditori rivolgono alle organizzazioni mafiose, non solo per risparmiare sui costi di smaltimento, ma anche e soprattutto per nascondere i resti delle produzioni “in nero”. Ci sarebbe, in questo caso, la consapevolezza della responsabilità, ma anche una somma di responsabilità. Le organizzazioni malavitose, in ogni caso, vanno ad insinuarsi negli spazi di fragilità umana. Le dipendenze, ad esempio, sono uno strumento importante per il controllo e lo sfruttamento del territorio. Tutto ciò si acuisce naturalmente in periodi di crisi come quello attuale. C’è quindi anche una responsabilità nell’induzione alla dipendenza. Bisogna contrastare l’uso delle droghe leggere perché sono un punto di partenza verso l’ assunzione di quelle pesanti, ma anche perché anch’esse rappresentano uno strumento di controllo e sfruttamento del territorio e, soprattutto, della persona. Bisogna combatterle entrambe. Relativamente al terrorismo islamico, che rappresenta ormai non solo una minaccia ma una realtà, nel corso dell’intervista è stato affrontato il tema del rapporto immigrazione –  terrorismo, con l’attenzione al  ruolo delle organizzazioni malavitose in questo ambito. Il dott. Roberti ha sottolineato come  ci siano già soggetti predisposti a compiere attentati in Italia, anche se il tutto è monitorato. In particolare, ci sarebbe un incrocio preciso fra tratta di esseri umani e terroristi. La tratta di esseri umani è sempre gestita dai clan mafiosi. Il rischio di attentato in Italia purtroppo c’è ed è legato ai ‘disperati’ che arrivano nel nostro paese e che potrebbero essere coinvolti. Il terrorismo è come una molecola formata da due atomi: bastano due soggetti per creare un’associazione terroristica. Noi siamo molti di più e possiamo combatterlo, secondo il magistrato. Il bisogno di scelte coraggiose che nascano da idee efficaci è profondamente avvertito negli ultimi tempi, anche se il tutto stenta a realizzarsi. Ogni momento di crisi è un’opportunità. L’etimologia del termine crisi, infatti, ci riporta al tema della scelta: ogni situazione di crisi genera una scelta, l’assunzione di responsabilità. Abbiamo difficoltà, secondo il dott. Roberti, nel fare delle scelte, ma almeno bisogna provarci. Basti pensare alla Costituzione e ai diritti fondamentali, come il lavoro, la dignità, l’uguaglianza. E’ per rendere effettivi questi diritti che devono essere realizzate delle leggi. Nelle ultime battute, due temi di notevole complessità: il ruolo della Chiesa e della scuola. L’affermazione forte del dott. Roberti, secondo cui la Chiesa avrebbe potuto fare moltissimo nella lotta alle mafie ma per troppo tempo non lo ha fatto, restando in silenzio e lasciando nell’isolamento i tantissimi preti che hanno rischiato la vita per la giustizia, come don Puglisi e don Diana, ha scosso le coscienze. Quando nel 2009 la Chiesa parlò della mafia come struttura di peccato, quando con  l’intervento di Giovanni Paolo II sembrò che si fosse ad una svolta in questo senso, il tutto fu occultato dal silenzio. Papa Bergoglio, secondo il dott. Roberti sta imprimendo ora una nuova direzione. Un contributo altrettanto importante è quello che il mondo della scuola può offrire per affrontare le precarietà del nostro tempo. La scuola, attraverso l’arma della conoscenza, può fare molto. Il magistrato cita Leonardo Sciascia, secondo cui “La lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio’. La conoscenza dei diritti è quindi uno strumento fondamentale, così come la conoscenza dei doveri. E’ questo l’obiettivo del Centro Studi Sociali Bachelet, volto alla formazione di una nuova e qualificata sensibilità sociale.

Fabiana Massaro, Studentessa IIS Telesi@

Foto: Alessandro Tanzillo

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