CittadinanzAttiva 2010-2011. Incontro sul tema “Libertà della persona (da): profili economici”. Relatore: Prof. Paolo Ricci

Il giorno 4 dicembre 2010, presso il Palazzo dei Congressi delle Terme di Telese,  si è tenuto l’incontro sul tema “Libertà della persona (da): profili economici”, che rientra nel  Laboratorio di formazione sociale CittadinanzAttiva, un progetto ideato e realizzato dal Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS della Diocesi di Cerreto S.- Telese- Sant’Agata dei Goti. E’ intervenuto il Prof. Paolo Ricci, Docente presso l’Università del Sannio.

Il Prof. Ricci parla dell’art. 41 della Costituzione, come aziendalista, cioè come studioso delle imprese (unità, cellule, anche sociali, che soddisfano i bisogni umani, prevalentemente materiali, per fare profitto).

L’art. 41 della Costituzione sancisce la libertà d’impresa, cioè la libertà di ciascuno di noi ad iniziare un’attività imprenditoriale. La Costituzione mette al centro tale libertà, ma la limita. Si tratta, quindi, di una libertà sottoposta ad una condizione. L’economia, infatti, può creare e crea delle difficoltà. Ad esempio, la crisi globale è quella crisi che è partita in un punto del mondo e si è estesa in tutto il resto del mondo. E’ una crisi soprattutto finanziaria, cioè dovuta allo scambio della moneta. Le cause sono state tante, ma tutte dimostrano che la libertà di iniziativa economica non può essere una libertà senza regole, anche se essenziale per il funzionamento dei mercati, per il funzionamento delle economie. I nostri costituenti l’avevano già capito, infatti, l’art. 41 della Costituzione recita: “l’iniziativa privata è libera” (primo comma); “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”[1] (secondo comma); “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” (terzo comma).

Gli elementi d’interesse dell’art.41 della Costituzione sono i seguenti:

  • tutti abbiamo la libertà di iniziativa economica;
  • l’iniziativa economica non può contrastare l’utilità sociale.

A questo punto, è opportuno chiedersi: Che cos’è l’utilità sociale? Come si esercitano i controlli e i programmi?

Nella Costituzione italiana, non è definita l’utilità sociale, la si può intuire dal fatto che bisogna difendere la sicurezza, ma non si spiega quale tipo di sicurezza, visto che esistono tante sicurezze (pubblica, alimentare, ecc.). Non viene specificato se questa utilità riguardi tutti o soltanto pochi. Al riguardo, il Prof. Ricci precisa che la crisi globale che stiamo vivendo non finirà fino a quando i media non diranno che è finita, in quanto è nata con essi. Il vero problema è che fino a quando ci comunicheranno che qualcosa è iniziata e non è finita, noi penseremo sempre che non è iniziata e non è finita. Aspetteremo la buona novella che non ci arriva più dalla buona lettura, ma dai telegiornali. La crisi, pertanto, non terminerà subito l’effetto, anche mediatico.

Vivendo in una società dell’insicurezza, secondo il Prof. Ricci, a qualcuno fa comodo che tanti lavori che per anni abbiamo vissuto vengano messi in crisi, che sia tutto relativo, che tutto venga valutato di volta in volta.

Le caratteristiche tipiche della libertà d’impresa sono:

  • il rischio (l’imprenditore rischia di perdere il capitale investito nell’azienda);
  • la soddisfazione dei bisogni umani (i bisogni umani cambiano e spesso vengono manipolati. In economia, l’imprenditore cerca di abbattere e controllare il rischio alimentando desideri, bisogni, necessità; gli strumenti utilizzati per controllare il rischio, infatti, alcune volte sono leciti, corretti, che soddisfano l’agire imprenditoriale, altre volte non è così).

Fare impresa significa rischiare, ma allo stesso tempo soddisfare bisogni umani. E’necessario controllare questi bisogni, conoscerli, motivarli, ma in maniera responsabile.

Se pensiamo all’impresa, all’azienda che nasce come un’unità che si va ad insediare in un luogo, in una comunità, dobbiamo subito immaginare che questa stessa impresa non appartiene più solo all’imprenditore. Al riguardo, il prof Ricci sottolinea provocatoriamente che l’impresa è dell’imprenditore fino a quando nasce. Appena è nata non gli appartiene più, non in base al diritto di proprietà, ma in relazione al senso di impiego di una libertà che ha una grandissima rilevanza in termini di responsabilità.

Quando un’impresa nasce non è più cosa intima, privata, perché interessa ad una comunità, ad un territorio, ai consumatori, ai clienti.

Dall’art. 41 della Costituzione, quindi, comprendiamo che la libertà dell’iniziativa economica è riconosciuta; non è illimitata; lo Stato deve coordinare e indirizzare questa libertà verso fini sociali.

Quando lo Stato ha un ruolo? Lo Stato ha un ruolo ogni volta che l’agire di un individuo può entrare nelle libertà altrui. Il nostro paese, in virtù della Costituzione, prima produceva panettoni. Esisteva un’azienda dello Stato, l’IRI che produceva anche panettoni. Questo avveniva perché l’art. 41 della Costituzione prevedeva l’intervento dello Stato in economia non solo per programmare, ma anche per fare.

Il prof. Ricci si occupa principalmente di pubblica amministrazione. Oggi, ci troviamo di fronte a due grandi quesiti:

  1. Cosa deve fare lo Stato
  2. Come lo deve fare

L’art. 41 della Costituzione italiana consente allo Stato di intervenire nell’economia. Lo Stato in economia è intervenuto facendo panettoni, fino a diventare uno Stato che controlla quello che fanno le altre imprese.

L’art. 41 della Costituzione nasce in un periodo molto delicato, in cui si discute sul passaggio da un’economia mista, con intervento statale al fianco di quello privato, ad un’economia regolata. L’Italia non è ancora una nazione ad economia regolata, perché ancora non riusciamo a capire il passaggio tra la libertà economica dell’individuo e la capacità dello Stato di fare la sua parte, cioè capire il ruolo che lo Stato deve avere in economia.

Calamandrei, in un discorso degli anni ’50 fatto a Milano, definisce l’indifferentismo utilizzando il seguente esempio: due contadini prendono un piroscafo per fare un viaggio dall’Italia alle Americhe. Durante questo viaggio, questo piroscafo va in difficoltà perché il mare è agitato. Uno dei due contadini è in coperta, l’altro è sul ponte e consapevole di quello che sta accadendo, cerca di informarsi. Va dal marinaio e dice: Che cosa sta accadendo al nostro piroscafo?. Il marinaio risponde: il piroscafo non tiene più, tra un po’ affondiamo. Subito il contadino scappa giù a chiamare il suo compagno, dicendogli: svegliati! Il piroscafo affonda. L’altro contadino risponde: ma io sto dormendo, non è mio il piroscafo, che affondi!

I giovani di oggi sono fortemente colpiti dall’indifferentismo per la realtà che li circonda, che si rimpicciolisce sempre di più alla piccola comunità, al gruppo di amici, ma che esplode solo quando c’è la tv. Esiste un contrasto tra un mondo facile che si comanda con un telecomando e un mondo complesso fatto di piccole relazioni.

All’indifferentismo dei nostri giorni non si associa la libertà.

Calamandrei aveva capito bene che la democrazia comportava delle libertà e che queste, in qualche modo potevano creare un’indifferenza. Però erano libertà che Calamandrei associava a livelli positivi, di crescita culturale, di formazione. Oggi, invece, l’indifferentismo si ferma all’indifferentismo e non c’è dall’altra parte il guadagno di una consapevolezza, di una conoscenza, di una coscienza.

Le libertà comportano rinunce.

Come lo Stato regola o deve regolare queste libertà?

Il passaggio da un’economia pubblico-privata ad un’economia solo privata deve dare allo Stato la possibilità di configurarsi un ruolo. Ma basta? Ciò non basta, perché un’impresa che è socialmente responsabile, cioè che assume la sua libertà in maniera da tener conto dell’utilità sociale, non sa come comportarsi, o meglio, lo sa ma in funzione dei propri valori, che potrebbero essere diversi da un’impresa all’altra.

Che cos’è l’utilità sociale? L’utilità sociale corrisponde all’interesse generale. L’interesse generale è l’interesse che prevale all’interno di una comunità. Nella stessa comunità, ognuno ha i propri interessi, la parte comune di questi interessi corrisponde all’interesse generale. L’interesse generale è l’interesse che per tradizione, cultura, comportamento, etica, religione è considerato, in quella comunità, prevalente.

Chi deve perseguire l’interesse generale? Lo Stato dovrebbe perseguire l’interesse generale. Il primo livello per poter definire se un’impresa è o non è in contrasto con l’utilità sociale è il seguente: l’impresa che è socialmente responsabile, cioè che si fa carico di non contrastare l’utilità sociale è quella che rispetta le leggi. Il secondo livello è: impresa che assume l’utilità sociale è quella disposta a compensare i danni del contrasto, cioè sa di danneggiare, ma risarcisce, indennizza. Il terzo livello è: se la legge è fatta male, se non considera tutti gli interessi, se il legislatore non è attento. Ricordando la crisi globale, uno dei problemi che emerge è l’assenza di controllo da parte dello Stato. Ciò vuol dire che le regole o non c’erano o erano fatte male. Una delle critiche che si muove è quella di cambiare le regole: le regole di controllo delle banche, le regole di controllo dei finanziamenti. Tuttavia, non c’è regola che l’uomo non sappia superare. Il problema vero è questo. Data una regola, nel rispetto della libertà altrui, la possiamo superare o non superare. Se la regola non ci convince o non ci porta a comportarci come vogliamo, ascriviamo tutto alla regola. Non è così. La regola è di per sé insufficiente. Questa è un’altra critica mossa alla crisi globale: non è un problema di regole, il contrasto sociale non è dovuto al fatto che le regole non erano buone. E’ un problema di morale, di qualità degli uomini.

L’impresa che persegue i propri fini adeguandoli agli interessi di carattere generale. Non c’è cosa più difficile definire se l’impresa è in contrasto con l’utilità sociale.

Gallino, sociologo, il quale invece di definire responsabile la libertà di iniziativa economica, la definisce irresponsabile. Gallino dice: “Irresponsabile è un ‘impresa che al di là degli elementari obblighi di legge, suppone di non dover rispondere ad alcuna autorità, pubblica e privata, né all’opinione pubblica in merito alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle sue attività. E’ più facile individuare l’irresponsabilità che la responsabilità, in quanto è un tema gigantesco. Un’impresa non è in contrasto con l’utilità sociale se rispetta la legge (anche se quest’aspetto non sempre costituisce una garanzia), se è in grado di avere comportamenti che risarciscono, indennizzano, compensano, quando riesca a comprendere i propri interessi con gli interessi degli altri.

Negli anni ’70, gli economisti americani dicevano che era un furto agli azionisti dedicare soltanto un dollaro ad attività che non erano destinate al profitto. Sono passati 40 anni e molti ancora ritengono che sia così.

[1] La dignità umana è calpestata quando un altro diritto e un’altra libertà sono messi in discussione. Ogni volta, cioè, che un individuo non riconosce e non rispetta un altro individuo.

Agata Abbamondi

Patrizia Lombardi

Ada Mancinelli

Libertà della persona profili economici- Prof. Paolo Ricci Art. 41 Costituzione – Libertà dell’iniziativa economica

Art. 41 Costituzione – Libertà dell’iniziativa economica

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