Il giorno 6 novembre 2010, presso il Palazzo dei Congressi delle Terme di Telese, si è tenuto l’incontro sul tema “Libertà della persona (di): profili giuridici”, che rientra nel Laboratorio di formazione sociale CittadinanzAttiva, un progetto ideato e realizzato dal Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS della Diocesi di Cerreto S.- Telese- Sant’Agata dei Goti. E’ intervenuto il Prof. Gaspare Lisella, Docente presso l’Università del Sannio.
Il Prof. Lisella apre l’incontro affermando che la libertà è un tema che riguarda lo studioso, ma in modo particolare i cittadini e i non cittadini, che, non avendo un rapporto organico con lo Stato italiano, non possono godere dei relativi servizi. La nostra Costituzione ha mantenuto la distinzione tra cittadini e uomini, cioè tra Stato – persone, in cui rientrano: la posizione che ha qualunque uomo nel nostro sistema normativo e la posizione del cittadino al quale sono riconosciute alcune prerogative, come ad esempio partecipare alle votazioni. Ciò nonostante, spesso, dobbiamo constatare che le posizioni riconducibili allo Stato – persone non sempre vengono adeguatamente considerate.
La libertà, di solito, è riconducibile, per i giovani, all’esplicare la propria personalità come si reputa più opportuno, cioè come possibilità di agire, di scegliere. Il concetto di libertà, pur contenendo quest’aspetto, risulta essere molto più complesso.
Risalendo al significato della parola libertà, che in greco deriva da eleutheria e in latino da libertas, secondo molti studiosi troverebbe origine dalla radice leudh, che nell’indoeuropeo antico vuol dire crescita, sviluppo, etnia non schiava. La parola nacque dunque in opposizione alla schiavitù. Nel mondo antico la libertà individuale aveva limiti ferrei. Gli antichi erano più interessati alla libertà collettiva che a quella individuale e avevano un concetto di libertà, che si contrapponeva al subire la forza. La prima traccia scritta del diritto alla libertà individuale si rinviene nel Corpus iuris civilis di Giustiniano (528 d.C.): “La libertà è la facoltà naturale di chi può fare ciò che vuole, se non gli è proibito con la forza o dal diritto”. Il limite lo si ritiene nella legge, ma anche nella forza, cioè nell’azione altrui che mi impone di fare qualcosa. La libertà, nel Corpus iuris civilis, può essere limitata sia in forma legittima che in forma violenta. In effetti, in tutte le epoche storiche la forza e il diritto hanno limitato la libertà nelle sue varie espressioni.
Quando il diritto ha un’origine democratica, è la connotazione stessa del concetto di libertà. Il concetto di libertà va coniugato con il concetto di uguaglianza. Sta proprio nel punto di equilibrio tra queste due esigenze fondamentali, che si può trovare il valore che deve governare le nostre società.
Nella civiltà greca e romana si affermò innanzitutto il concetto di libertà collettiva: si poteva essere uomini liberi, cioè non schiavi, ma comunque si era sottoposti all’autorità delle legge, quale che ne fosse il contenuto, a prescindere se essa fosse espressione di un governo democratico o non di un governo monarchico o aristocratico. Tuttavia, anche in queste società, il concetto di democrazia andava ben individuato, in quanto si trattava di società che comunque conoscevano gli schiavi. La schiavitù è in antitesi alla democrazia.
Il concetto di libertà degli antichi non faceva riferimento ala libertà individuale, bensì a quella collettiva, intesa come partecipazione alle scelte che si andavano a realizzare. Il concetto di libertà moderna vede la sua origine durante la Rivoluzione Francese.
Un pensatore francese che è vissuto nel periodo della Rivoluzione Francese, Beniamino Constant, nel 1819, tenne un memorabile discorso all’Università di Parigi sul rapporto che esisteva tra la libertà degli antichi e la libertà moderna, affermando che nonostante la loro diversità, sono due concetti strettamente connessi fra di loro.
Constant precisò che: La libertà degli antichi “consisteva nell’esercizio in maniera collettiva, ma diretta, di molteplici funzioni della sovranità presa nella sua interezza, funzioni quali la deliberazione sulla pubblica piazza della guerra e della pace, la conclusione di trattati d’alleanza con gli stranieri, la votazione delle leggi, la pronuncia dei giudizi, l’esame dell’amministrazione, degli atti, della gestione dei magistrati, il chiamare questi in pubblico e metterli sotto accusa, condannarli o assolverli; ma se tutto ciò gli antichi chiamavano libertà, al tempo stesso ammettevano compatibile con questa libertà collettiva l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme (a fronte di una libertà collettiva, che in alcune società era da considerarsi come un punto di arrivo, si configura una compressione della libertà individuale). Voi non troverete presso gli antichi nessuno dei godimenti che abbiamo visto far parte della libertà così come è intesa presso i moderni (gli antichi pur configurando una forma di partecipazione alla cosa pubblica, alla gestione dello Stato, non configurarono una libertà dell’individuo; Socrate fu condannato a morte perché non si condivideva il suo pensiero, perché combatteva il politeismo). Tutte le azioni private sono sottoposte a severa sorveglianza. Nulla è concesso all’indipendenza individuale, né riguardo alle opinioni, né riguardo alle occupazioni, né soprattutto alla religione”. Le civiltà più antiche avevano una forte caratterizzazione religiosa. Lo stesso Constant individua una delle conquiste dell’umanità in una rivoluzione contro il potere religioso.
Si pone il problema della libertà individuale nel mondo antico. Lo stesso uomo libero era un uomo che poteva partecipare alla gestione della cosa pubblica, ma la maggioranza, il potere costituito nelle forme autarchiche poteva comprimere la libertà dell’individuo, poteva sacrificare le esigenze individuali.
Tuttavia, si guarda al mondo greco come ad un mondo libero. In realtà. si trattava di una libertà intesa come emancipazione dalla schiavitù.
Come i moderni intendevano la libertà a cavallo tra i secoli XVIII e XIX?
E’ ancora Constant a parlare (siamo all’Università di Parigi nel febbraio del 1819):
“[…] la libertà è il diritto di essere sottoposti soltanto alla legge, il diritto di non essere arrestati, detenuti, condannati a morte, maltrattati in alcuna maniera, per effetto della volontà arbitraria di uno o più individui. E’ il diritto di esprimere il proprio pensiero, scegliere la propria occupazione ed esercitarla[1]; il diritto di disporre dei propri beni, di abusarne addirittura, il diritto di andare e venire senza bisogno di ottenere il permesso, e senza dover rendere conto dei propri motivi o dei propri affari[2]. E’, per ciascuno, il diritto di riunirsi con altri individui, sia per discutere riguardo ai propri interessi, sia per professare il culto che costui e i suoi compagni preferiscono, sia semplicemente per occupare il proprio tempo in maniera più conforme alle personali inclinazioni e fantasie. Infine, è il diritto che ciascuno ha di influire sull’amministrazione del governo, sia nominando per intero o in parte certi funzionari, sia attraverso rappresentanze, petizioni, domande, che l’autorità è più o meno tenuta a prendere in considerazione”.
Il collegamento tra la libertà degli antichi e la libertà dei moderni sta nell’affermare le libertà individuali e nel capire che alla base delle libertà individuali c’è la democrazia, la partecipazione di tutti alle scelte che si vanno a realizzare.
E’ netta, in Constant, la distinzione tra libertà degli antichi e libertà dei moderni: la prima è la libertà nella polis (c.d. libertà politica); la seconda è la libertà dell’individuo (c.d. libertà individuale), il quale, in quanto uomo libero, ha anche il diritto a partecipare al governo della cosa pubblica.
La storia dimostra che venne prima la libertà politica e molto più tardi quella individuale.
In effetti bisogna arrivare alla Magna Charta libertatum del 1215, approvata dal re Giovanni Senza Terra, per stabilire i primi limiti del potere monarchico nei confronti dei feudatari, della Chiesa, delle città e di tutti gli uomini liberi (cioè nobili, religiosi). Comunque dovrà passare ancora molta acqua sotto i ponti prima di riconoscere la libertà a tutti i cittadini.
La conquista passa attraverso l’affermazione della classe borghese che (a partire dall’esperienza dei Comuni) si impose a seguito della sostituzione dell’economia curtense, che gravitava intorno alle dimore dei feudatari, con un’economia più larga e libera, fatta di commercio e di artigianato.
In ambito filosofico, fondamentale è l’illuminismo, cioè quel movimento culturale che ha affermato il principio secondo il quale i problemi dell’umanità, sociali e politici, possono e debbono essere risolti con i lumi della ragione. L’illuminismo, che affonda le sue radici anche nel progresso scientifico, si affermò prima in Inghilterra e poi nel Nord America e nel resto dell’Europa, ove divenne stimolo, lievito e motore sia della Rivoluzione americana (che aveva due facce: una di conquista individuale e una di emancipazione dalla madre patria), sia della Rivoluzione francese (detta appunto Rivoluzione dei Lumi).
In effetti, soprattutto su quest’ultima, grande influenza l’ebbero i pensatori e i letterati. Quattro nomi su tutti:
- Voltaire (1694-1778). Visse in Gran Bretagna dal 1725 al 1729, in un periodo di dibattiti politici liberali che ne segnarono profondamente il pensiero;
- Montesquieu (1689-1755). Teorizzò la divisione dei poteri, cioè la separazione del potere legislativo, del potere esecutivo e del potere giudiziario;
- Diderot (1713-1784). Diresse con D’Alembert l’Enciclopedia, che fu l’espressione classica della cultura illuministica;
- Rousseau (1712-1778). Scrisse il Contratto sociale, vero manifesto della democrazia.
La Rivoluzione Francese è detta la Rivoluzione borghese, la Rivoluzione liberale e ad essa deve tutto la cultura dell’Ottocento europeo.
La storia si affaccia nell’Ottocento con i risultati di ben quattro rivoluzioni:
- quella che aveva smontato la teocrazia e la cultura che ne derivava
- quella che aveva condannato e soppresso la schiavitù
- quella che aveva eliminato la feudalità
- quella che aveva scalzato la nobiltà intesa come privilegio (appunto la Rivoluzione del 1789)
Si era passati dallo Stato patrimoniale (secoli IX-XIII, epoca del feudalesimo), nel quale sia il popolo sia il territorio venivano considerati di proprietà del Sovrano: egli, legibus solutus (cioè sciolto dall’obbligo di rispettare le leggi), poteva disporne a suo piacimento, con i sudditi (dal latino subditus, sottomesso) che non avevano alcuna possibilità di partecipare alla gestione del potere, allo Stato di polizia, nel quale il Re esercitava i suoi poteri non, come nello Stato patrimoniale[3], al solo scopo di realizzare i propri interessi e quelli della Corte, ma anche nell’interesse dei sudditi, ai quali però non veniva riconosciuta alcuna possibilità di partecipare alla vita politica; il Sovrano si vedeva riconosciuto da Dio il compito di scegliere per il popolo senza che questo potesse provvedervi con propri rappresentanti per pervenire (proprio con la Rivoluzione francese) allo Stato di diritto, nel quale il popolo, costituito non più da sudditi ma da cittadini (cioè da persone che non hanno soltanto doveri ma anche diritti), prende parte attiva alla gestione del potere attraverso rappresentanti liberamente scelti.
Il Motto della Rivoluzione francese è:
Libertà: la libertà consiste nel poter fare ciò che non nuoce ai diritti altrui. In Italia, questo concetto di libertà si applica nel 1797 nella Repubblica cisalpina.
Uguaglianza: la legge è uguale per tutti; non si rilevano le differenze per nascita o per condizione sociale (c.d. uguaglianza formale). L’eguaglianza formale, però, è circoscritta agli uomini: le donne erano in posizione di subordinazione (si ricordi la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina del 1791, imitazione critica della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789).
Fratellanza: non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi; fate agli altri il bene che
vorreste ricevere. La fratellanza assume un significato soltanto morale.
Viene riconosciuta ai cittadini la libertà dei moderni descritta da Constant, cioè la libertà dallo Stato e la libertà nello Stato (dette libertà negative) che si sostanziano
- nei diritti civili: libertà personali (arresto previsto dalla legge; pene proporzionate ecc.); libertà di manifestazione del pensiero, libertà di associazione e di riunione, libertà di culto;
- nei pochi diritti civici: possibilità per i cittadini di usufruire di determinati beni e servizi messi a disposizione della collettività (ad esempio, strade, trasporti, giustizia)
In ambito economico, la libertà dallo Stato e nello Stato si coglie nella massima “lasciate fare, lasciate passare”[4] e nella massima “la proprietà è sacra e inviolabile”.
La Rivoluzione francese aveva assunto la consapevolezza, come ci ricorda Costant, che non si poteva avere una libertà individuale senza la partecipazione alla cosa pubblica. La libertà di partecipazione (detta libertà in senso positivo) che si sostanzia
- nei diritti politici: elettorato attivo e passivo (ma si è lontani dal suffragio universale (era limitato dal censo, dalla capacità di leggere e scrivere, dal sesso: le donne infatti acquisirono il diritto di voto nel 1946, dopo la seconda guerra mondiale con il referendum tra monarchia e repubblica)
Le conquiste della Rivoluzione francese si consolidarono nell’800 con gli Statuti del secolo XIX, leggi di rango ordinario (es. Statuto Albertino), cioè leggi approvate dal Parlamento a maggioranza non qualificata.
Si dice che i diritti della Rivoluzione francese siano i cc.dd. diritti di prima generazione, detti anche diritti a matrice liberale, cioè libertà dallo Stato nel senso che non posso vedere limitata la mia libertà fisica se non nelle ipotesi previste dalla legge, libertà nello Stato nel senso che posso manifestare il mio pensiero, posso riunirmi, posso muovermi, posso professare un credo religioso, libertà di partecipazione nel senso che alcuni cittadini con alcune caratteristiche potevano partecipare alla gestione della cosa pubblica.
Le conquiste del secolo XIX non sempre furono valorizzate in epoca successiva: si ricordi che Hitler, nel 1933, conquistò il potere a seguito di libere elezioni. Il secolo XX è diviso in due parti. La prima parte fu caratterizzata dalla prima guerra mondiale, dal Fascismo in Italia e dal Nazionalsocialismo in Germania. La seconda parte è caratterizzata dalla seconda guerra mondiale, che portò nei governanti la consapevolezza secondo cui non può essere mantenuta la pace se non si garantiscono condizioni di sopravvivenza. Ciò è stato recepito poi nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. La particolarità della suddetta Dichiarazione sta nel fatto che accanto alle libertà dallo Stato, nello Stato e di partecipazione si afferma un’altra forma di libertà: quella per mezzo dello Stato, che vede quest’ultimo impegnato a realizzare condizioni di vita adeguate per i propri cittadini e ha come fine primario la liberazione dal bisogno. Ed è quanto si trova sancito nella Costituzione italiana del 1948, che a differenza dello Statuto Albertino, ha una struttura rigida ed è la sintesi del pensiero cattolico, liberale e socialista. Ad esempio, l’art. 2 che sancisce i diritti inviolabili dell’uomo si pone contro il personalismo, l’art. 3 comma 1 che garantisce il principio di eguaglianza formale e sostanziale è la conquista della Rivoluzione francese, quindi di stampo liberale. L’art. 3 comma 2: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono la partecipazione di tutti alla vita del Paese è di stampo socialista.
L’elemento nuovo è quello che si sostanzia nella libertà per mezzo dello Stato: diritto al lavoro (art. 4); diritto alla salute (art. 32); diritto all’istruzione (art 34); adeguatezza della retribuzione (art. 36)[5]; iniziativa economica libera e utilità sociale (art. 41); funzione sociale della proprietà (art. 42); diritto alla casa (art. 47). La libertà va garantita attraverso la liberazione di ciascuno dal bisogno e va coniugata con l’eguaglianza.
Con le Costituzioni del XX secolo si passa allo Stato sociale di diritto che garantisce i cc.dd. diritti di seconda generazione.
Le sfide del terzo millennio che coinvolgono la libertà non soltanto per mezzo dello Stato ma anche per mezzo delle Istituzioni internazionali e di altre organizzazioni collettive riguardano:
- il c.d. Villaggio globale: la globalizzazione dell’economia, l’immigrazione, il confronto tra culture diverse, l’integrazione, i Paesi che garantiscono le libertà economiche ma non quelle politiche o quelle sociali
- la fame nel mondo, lo sviluppo sostenibile, lo sfruttamento delle risorse naturali, la tutela dell’ambiente
- la pace e il diritto dei popoli all’autodeterminazione
Si discorre al riguardo di cc. dd. diritti di terza generazione che sono di tipo collettivo e non individuali. Sono realizzati da una forma di libertà condivisa con gli altri, una libertà con. Vi sono poi i cc.dd. diritti di quarta generazione detti anche nuovi diritti. Riguardano lo sviluppo della ricerca scientifica e delle tecnologie: le manipolazioni genetiche e i problemi di bioetica (la dignità di una qualsiasi vita, la libertà di morire, la libertà di procreare, i trapianti d’organo ecc. Riguardano le tecniche di comunicazione, la libertà di manifestare il pensiero, il diritto-dovere ad informarsi e ad essere informati. In effetti, la vera sfida oggi è evitare la manipolazione delle coscienze, è garantire la libertà di formazione culturale di ciascuno, perché in definitiva è questa che condiziona le scelte. Per esempio una sfida è quella di neutralizzare quella televisione che fa intenzionalmente regredire i telespettatori a fanciulli incolti, che li degrada non a consumatori, ma a “consumati” dalla pubblicità. E’ stato opportunamente sottolineato che, se una volta esistevano istituzioni che servivano da palestra formativa (innanzitutto la famiglia e la scuola, ma anche le associazioni, gli oratori, le sezioni dei partiti ecc.), da anni la tv si è mangiata questi “luoghi della memoria condivisa” ed ha assottigliato sempre di più la linea di confine tra realtà e rappresentazione. Ma se la realtà è percepita soprattutto attraverso la tv, si corre il serio rischio che si verifichi anche il contrario, cioè che la realtà tenda ad organizzarsi attraverso format ed esigenze televisive. Ecco l’esperienza di un “vecchio” Maestro di scuola elementare (Mario Lodi):
“I bambini che arrivano a scuola a sei anni non sanno scrivere ma sanno parlare, no? E raccontano, raccontano, dicono di sé e degli altri. Un maestro comincia da lì, dalla parola. Deve governare la parola dei bambini con ordine, un ordine non imposto, ma concordato, non come fanno in televisione dove tutti interrompono tutti. Un maestro insegna a parlare e soprattutto ad ascoltare. E’ lì che nasce la democrazia ed è lì che nasce la responsabilità”. Gli si chiede: Le sembra che questo nella scuola italiana non succeda più? “A me pare che dei valori classici su cui era fondata la Costituzione sia rimasto poco. C’è stato un furto. Per i giovani è un bel guaio” E chi è il ladro? “L’indiziato numero uno è la comunicazione. Giornali, tv, ora internet. […]. I più furbi hanno capito subito che chi possedeva la tecnologia avrebbe controllato anche i valori. Prenda l’idea di libertà. La libertà oggi è realizzare se stessi e pazienza per gli altri. Non è la stessa libertà che ha ricostruito il Paese dopo la guerra. Questa è una libertà maleducata”.
[1] Fino alla prima guerra mondiale, in Russia, esistevano i servi della gleba, cioè persone che rimanevano ancorate alla terra. Quando un feudatario cedeva le proprie terre, cedeva anche le persone che vi lavoravano. Non era possibile che il figlio di un servo potesse cambiare attività in relazione al padre.
[2] Il Medioevo si caratterizza anche per una compressione degli affari economici, del commercio. Non a caso le organizzazioni che riuscirono a liberarsi da questi lacci, fecero la loro fortuna (es. Repubbliche marinare, Comuni).
[3] In Europa, al disgregarsi dell’Impero romano abbiamo la costituzione di diversi Stati (ad es. lo Stato normanno nel Sud Italia), caratterizzati sotto il profilo dello Stato patrimoniale, cioè un territorio, un popolo, che appartengono ad una dinastia, che li considera cosa propria e combatte con altre dinastie per avere diversi possedimenti. Il popolo non assume alcuna rilevanza, se non quella di dover obbedire e servire il Re padrone.
[4] “Lasciate fare, lasciate passare” è la rivendicazione della borghesia, in particolare dei commercianti, i quali capiscono che il loro benessere e la loro prosperità sta sui traffici e che mal tollerano i lacci dell’antico regime. Nell’antico regime, su uno stesso territorio esistevano tre domini: il dominio utile (quello del proprietario), il dominio diretto (quello del feudatario), il dominio regio (quello del sovrano). Questi domini esigevano delle utilità dai territori, che ottenevano imponendo tasse, dogane, ecc.
[5] Art. 36: Ciascuno deve essere retribuito in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. In ogni caso, deve essere tale da garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Libertà della persona profili giuridici- Prof. Gaspare Lisella