Il giorno 6 febbraio 2010, presso il Palazzo dei Congressi delle Terme di Telese, si è tenuto l’incontro sul tema “I diritti dei non-cittadini”, che rientra nel Laboratorio di formazione sociale CittadinanzAttiva, un progetto ideato e realizzato dal Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS della Diocesi di Cerreto S.- Telese- Sant’Agata dei Goti. E’ intervenuto il Prof. Pier Paolo Forte, Docente di Diritto Pubblico e di Diritto Amministrativo dell’Università del Sannio.
Il Prof. Forte apre l’incontro con due considerazioni preliminari e introduttive: il non-cittadino non è cittadino di questo posto, non è di qui, perché non è italiano. Tutti noi viviamo e sempre vivremo il problema dell’identità, non solo a livello personale, ma anche da un punto di vista collettivo. Chi siamo è una domanda molto simile a quella più usuale: Chi sono.
Qual è la categoria alla quale ci sentiamo di appartenere? Non è facile rispondere a questa domanda e qualche volta non basta una vita per dare una risposta. Il Prof. Forte si accontenta di far tesoro di una corrente intellettuale, che da un po’ di anni accetta l’idea che ciascuno di noi possa avere una pluralità di dimensioni nelle quali sfoga la propria personalità. La presenza di ognuno di noi sulla terra non è connotata in maniera esaustiva da una identità ben chiara e precisa. Ognuno di noi è qualcosa di più composto. Nessuno di noi può pensare a se stesso solo collocandosi all’interno di una categoria, ciascuno di noi ne ha una pluralità. Se qualcuno riesce ad averne una pluralità assai densa, assai ricca, finisce con l’essere una persona più interessante, più soddisfatta, più impegnata. In questo quadro, dire chi sono i non-cittadini è molto più facile. A noi non interessa per qualificare il cittadino e il non-cittadino oggi, badare al colore della pelle, badare al credo religioso, badare all’ideologia politico, sociale, civile. Queste non solo altro che le tante categorie che connotano tutti quanti noi. Il non-cittadino è colui il quale non è formalmente cittadino di questo Stato. Sul piano tecnico-giuridico, esiste una definizione che prevede che i non-cittadini siano tendenzialmente gli stranieri, ma questi ultimi non sono necessariamente quelli di un’altra cittadinanza. Si potrebbe ad esempio considerare straniero un veneto e un veneto potrebbe considerare straniero un campano che pretendesse di vivere in Veneto. Quindi, non è soltanto la condizione di straniero che ci aiuta a capire cos’è il non-cittadino a cui si farà riferimento. All’interno della categoria dello straniero esistono delle differenziazioni abbastanza forti, ormai formalizzate anche sul piano giuridico. Ad esempio, ci siamo abituati nel linguaggio comune ad utilizzare il termine extra-comunitari. Ma che significa? Questa espressione ci dà la sintesi di un percorso molto lungo e complesso, in virtù del quale noi ormai diamo per scontato che un europeo, anche se straniero, possa venire a vivere in Italia. Allo stesso modo, diamo per scontato culturalmente che se noi andassimo a vivere in qualche paese dell’Unione Europea, per quanto stranieri, il senso di estraneità sarebbe attenuato. La parola extra-comunitario, pertanto, è un modo che ci aiuta a capire che gli stranieri dell’Europa sono un po’ meno stranieri degli altri. Con gli stranieri europei abbiamo una specie di relazione più intensa che ci fa essere più vicini e disposti ad accettarci reciprocamente, perché abbiamo delle istituzioni in comune, perché abbiamo delle regole in comune, perché abbiamo dei soldi in comune, perché abbiamo delle aziende in comune, perché abbiamo un mercato del lavoro, delle merci, della finanza in comune, perché abbiamo un sistema di trasporto che ci permette di spostarci liberamente sul territorio dell’Unione Europea. Il problema dello straniero, del non-cittadino riguarda i cosiddetti extra-comunitari, cioè coloro che sono nati fuori dai confini dell’Unione Europea. In realtà, oltre agli extra-comunitari esistono altri non-cittadini problematici, come ad esempio gli apolidi. L’apolide è una persona che non sente di appartenere ad alcuna comunità statale e stanziale. Non è cittadino di alcuno Stato. Essere apolidi può significare non avere radici, non avere una casa, non avere un luogo degli affetti, dei ricordi, delle speranze, non avere un luogo per il futuro.
Esiste un’ultima categoria alla quale il Prof. Forte fa riferimento, che riguarda coloro i quali si trovano a passare in Italia, non necessariamente perché se ne sono andati in modo volontario dal proprio paese, più o meno clandestinamente, quanto perché nel proprio paese non possono vivere, in quanto le loro idee, il loro credo religioso, il modo di fare relazione non sono tollerate e la loro espressione potrebbe condurre alla soppressione fisica. Costoro vengono abitualmente chiamati rifugiati, persone che non hanno perso la propria cittadinanza, ma che soffrono una condizione particolarmente dolorosa e difficile da sopportare, in quanto implica un allontanamento forzato dalla propria casa, dai luoghi degli affetti, dei ricordi, ecc.
Nel nostro paese, il dibattito pubblico registra grandi dissensi intorno al tema del trattamento degli immigrati. Nessuna decisione politica, di nessun Governo, di nessuna maggioranza, qualunque sia il colore politico, può essere contrastante con i principi formalizzati nella Carta Costituzionale. Se questo accade, vi sono nel nostro sistema dei rimedi che permettono alla Corte Costituzionale di intervenire e di reprimere gli eventuali eccessi, che dovessero contrastare i limiti sanciti dalla Costituzione.
Parlando dei diritti dei non-cittadini, il Prof. Forte farà riferimento più che alla disciplina concretamente esistente e al dibattito politico in argomento, ai limiti costituzionali.
L’art. 1 della Costituzione recita: L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
La Repubblica non è lo Stato. Lo Stato è soltanto uno dei pezzi della Repubblica insieme alle Regioni, alle Province, ai Comuni, all’Università, alle Scuole, alle associazioni, ai cittadini. Ciascuno di noi è chiamato ad essere sovrano, a partecipare alla sovranità, è chiamato ad esercitare le forme della sovranità, è chiamato alle responsabilità della sovranità. Così facendo ognuno di noi aggiunge il proprio pezzo a quel composto, chiamato Repubblica. Quando vediamo che la Costituzione attribuisce un compito alla Repubblica, lo sta attribuendo allo Stato, alle Regioni, alle Province, ai Comuni, ma allo stesso tempo anche a ciascuno di noi e che, piaccia o non piaccia, richiama la nostra responsabilità.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Nel 1948, questa frase era considerata dirompente, oggi, invece, non è più così, in quanto ci siamo abituati all’idea che esistono libertà e diritti fondamentali, che esistono diversi cataloghi internazionali di questi diritti e libertà. Vengono spesso menzionati, invocati e discussi. Sul piano storico, questo è un passaggio che ci divide profondamente dal passato. Nel 1944, la condizione dello straniero era determinata dagli accordi che l’Italia aveva con lo Stato di provenienza dello straniero, a condizione di reciprocità. Questo sembrava una frontiera avanzata del mondo civile, in quanto lo straniero poteva trovarsi in uno Stato diverso da quello di appartenenza e comunque si vedeva riconosciuta una soggettività, una forma di rispetto, sulla base di accordi internazionali bilaterali. La Costituzione fa un ulteriore passo in avanti e dice: indipendentemente dagli accordi, indipendentemente dalle relazioni, indipendentemente dai negozi che avvengono tra gli Stati, noi italiani decidiamo che nei confronti di qualsiasi persona di qualunque cittadinanza e persino senza cittadinanza, ci impegniamo a rispettarne il nucleo di dignità essenziale che la rende persona come ciascuno di noi. Questo è il significato dell’art. 2 della nostra Carta Costituzionale. Abbiamo raggiunto cioè un accordo politico, nel lontano 1948 e sta a noi decidere se vale la pena mantenerlo in piedi oppure no, in virtù del quale abbiamo preso un impegno nei confronti di noi stessi, perché si tratta di un impegno di civiltà. Non esiste essere umano al quale non possa essere riconosciuta una dignità minima indipendentemente dalla sua condizione.
Ciò fa riferimento, ancorché all’art. 3 della Costituzione che parla di cittadini, anche al principio costituzionale di uguaglianza, secondo cui non tollera discriminazioni la posizione del cittadino e quella dello straniero, in relazione al godimento dei diritti inviolabili dell’uomo. Quando parliamo di quella misura minima della condizione umana che asserisce a ciascuna persona, non è possibile fare discriminazioni tra cittadini e non-cittadini. Sta a noi decidere se mantenere in piedi questi principi oppure rifiutarli, in quanto le Costituzioni vanno continuamente confermate e rinnovate nel corso delle generazioni.
Quali sono le conseguenze di questa impostazione di base: tutti siamo uguali nel limite minimo della dignità umana indipendentemente dal fatto che si è cittadini oppure non-cittadini? L’oggetto della discussione da questo momento in poi sarà il peggiore degli immigrati. La polizia lo becca senza documenti, senza permesso di soggiorno, senza nessun titolo che gli permette di stare legalmente in Italia. La tendenza è di espellerlo. Come avverrà l’espulsione? Sarà fatta tramite un atto giuridico, un provvedimento. Il peggiore degli extra-comunitari al quale viene irradiato un provvedimento di espulsione, può impugnare questo provvedimento davanti a un giudice? La risposta della Corte Costituzionale, in virtù della nostra Carta Costituzionale, è si. Non solo può impugnarlo ma ha anche diritto, come ciascuno di noi ad un processo giusto, nel senso che se l’extra-comunitario non parla italiano ha diritto alle traduzioni e lo Stato dovrà sostenere i costi affinché il processo sia a lui comprensibile. Un extra-comunitario, il peggiore, ha un figlio in Italia che vive con la madre, sempre in Italia. Viene beccato dalla polizia senza documenti. La tendenza è l’espulsione. L’extra-comunitario fa ricorso e dice: se voi mi espellete, private mio figlio del diritto ad avere i genitori, una famiglia, un’educazione paterna e materna. Qual è la risposta del nostro sistema a questo problema? La Corte Costituzionale, in più di un’occasione ha invocato l’art. 29 della Costituzione, che si riferisce alla famiglia e soprattutto il successivo, l’art. 30 in cui c’è un dovere ma anche un diritto dei genitori di educare i figli. Nel bilanciamento dei due problemi, quello di espellere il peggiore degli extra-comunitari e quello di mantenere un padre ad un figlio all’interno della famiglia, prevale il secondo.
Pensando alla peggiore extra-comunitaria, incinta, che viene beccata dalla polizia senza documenti, la tendenza è quella di espellerla. Tuttavia non viene espulsa né ora, perché incinta, né al momento del parto, né per un certo periodo successivo al parto. La condizione della donna soprattutto quando diventa madre o si accinge ad esserlo, ha un suo trattamento particolare, che fa parte di quel nucleo minimo inviolabile e indipendente da ogni questione che bisogna mantenere. Questa peggiore extra-comunitaria incinta ha bisogno di un ginecologo, di visite mediche, di qualcuno che la aiuti a partorire. Più in generale, il peggiore extra-comunitario o la peggiore extra-comunitaria, senza permesso di soggiorno, che non parlano la nostra lingua, che non versano le tasse, che rubano, che uccidono, fanno un incidente d’auto. Si feriscono. Devono essere curati? Il peggiore extra-comunitario ha un problema medico ha diritto alle prestazioni sanitarie nel nostro ospedale, togliendo un posto ad un cittadino italiano. Ha diritto di essere curato? In entrambi i casi, la risposta è si, non solo perché l’art. 32 della Costituzione ci dice che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, non del cittadino nell’interesse della collettività e garantisce cure gratuite all’incidenza. In un’indagine del Censis pubblicata ieri, otto italiani su dieci dicono si alle cure sanitarie per i clandestini. Non c’è solo un aspetto giuridico formale connesso a questo problema della salute dei cittadini extra-comunitari, ma si tratta di un consenso popolare. Naturalmente, il Prof. Forte non crede che siamo disposti a consentire agli extra-comunitari un intervento sanitario estetico. La nostra legislazione, infatti, fa riferimento all’obbligo delle cure indispensabili. Tutto ciò che ci serve per rimanere in vita, deve esserci fornito e anche gratuitamente.
Facendo riferimento all’edilizia residenziale pubblica, cioè a quelle case popolari che servono a dare un tetto a chi ha difficoltà economiche, il Prof. Forte si chiede: poiché ci sono meno case popolari rispetto alle richieste pervenute, gli extra-comunitari hanno diritto a partecipare all’attribuzione delle case popolari? La Corte Costituzionale ha salvato, ritenendola compatibile con la Costituzione, una legge regionale che stabiliva che le graduatorie per l’attribuzione delle case popolari dovevano essere aperte anche agli extra-comunitari residenti. Dunque, la risposta è si. Ciò significa che la casa attribuita ad un extra-comunitario viene tolta ad un cittadino. Di recente, la Regione Lombardia aveva fatto una legge, in cui aveva stabilito il diritto dei grandi invalidi ad usare i mezzi di trasporto pubblici gratuitamente, limitando questo beneficio ai soli cittadini. Tale legge, successivamente, è stata impugnata e la Corte Costituzionale l’ha dichiarata incostituzionale nella parte in cui non estende questo diritto agli invalidi extra-comunitari residenti. Se si tratta di una situazione di difficoltà che bisogna colmare attraverso la possibilità di utilizzare i trasporti pubblici, bisogna far riferimento alla situazione di difficoltà e non al fatto che è o non è cittadino italiano. Chiunque è residente in Lombardia, cittadino o non-cittadino, deve avere il diritto di usare i trasporti pubblici gratuitamente.
Tornando al peggiore extra-comunitario, in questo caso arrestato, il nostro ordinamento non prevede solo il carcere, ma un insieme di regole che gestiscono lo sconto della pena. Tra queste regole, rientrano anche le misure alternative, cioè per certi reati minori o in certe condizioni, una volta si è scontato parte della pena, inizia la fase del reinserimento nella vita sociale. Le misure alternative vanno limitate solo ai cittadini? Anche in questo caso, la Corte Costituzionale ha risposto no. Se l’ordinamento penitenziario prevede una misura favorevole al detenuto, deve essere irrilevante la sua cittadinanza.
Argomenti del genere sono stati utilizzati per la pensione di inabilità. Se siamo inabili e non possiamo più lavorare, è previsto un intervento pubblico che ci consenta di avere il minimo per vivere, questo, dice la Corte Costituzionale, deve essere fatto per coloro i quali si trovano in questa condizione, indipendentemente dal fatto che si è cittadini o non-cittadini. Non diversamente è stato fatto per quanto riguarda l’indennità di accompagnamento che consente alle persone in difficoltà di avere delle altre che li aiutano.
Il figlio del peggiore extra-comunitario ha diritto ad andare a scuola? Deve potersi iscrivere? Deve poter frequentare? Può seguire tutto il percorso di studi obbligatorio? La nostra Corte Costituzionale ha detto che questo diritto esiste, è inviolabile, quindi, anche i figli degli extra-comunitari, finché sono in Italia, hanno il diritto di andare a scuola, ma c’è anche il dovere di condurli a scuola, di avvicinarli alla scuola, di farli entrare nella scuola. Quanto detto finora, precisa il Prof. Forte, non è nulla di politicamente significativo sul dibattito relativo al trattamento dell’immigrazione. Non ha fatto nessun riferimento, salvo quando era tecnicamente indispensabile, a decisioni di governo attuali o del recente passato. Non vuole discutere il problema dell’immigrazione, né la soluzione politica al problema dell’immigrazione, vuole, però, rendere chiaro che noi abbiamo una Costituzione che ha un impianto tutto focalizzato sulla persona. Quando si focalizza l’argomento della convivenza, non solo in termini politici e tantomeno solo in termini giuridici, ma in termini prettamente umani, il tema della cittadinanza diventa un argomento secondario. Quando si mette al centro la persona, ciò che interessa nella interlocuzione che nasce nella relazione è il valore della dignità, che questa persona rappresenta. In quest’ottica, è difficile scendere a compromessi e al di sotto di un livello minimo di rispetto e considerazione, perché quando ci si rivolge ad un altro considerandolo una persona è come se si parlasse ad uno specchio, ad un altro se stesso. L’altro se stesso potrà avere una serie di qualità che lo differenziano da un altro, ma il nucleo di persona è esattamente lo stesso, cosicché ogni attentato che si fa a quello lo si fa a se stessi.
Agata Abbamondi
Patrizia Lombardi
Ada Mancinelli