Il giorno 19 dicembre 2009, presso il Palazzo dei Congressi delle Terme di Telese, si è tenuto l’incontro sul tema “Dignità umana: profili giuridici”, che rientra nel Laboratorio di formazione sociale CittadinanzAttiva, un progetto ideato e realizzato dal Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS della Diocesi di Cerreto S.- Telese- Sant’Agata dei Goti. E’ intervenuto il Prof. Gaspare Lisella, Docente dell’Università del Sannio.
Si può dire che nel mondo romano la “dignità umana” sia intesa in due significati:
- da un lato, indica la posizione dell’uomo nell’universo, che in quanto tale si differenzia dal resto della natura; essa perciò è assoluta e in linea di principio la si riconosce a tutto il genere umano (ma non agli schiavi, però, considerati cose più che persone);
- dall’altro, individua la posizione dell’uomo nella vita pubblica e scaturisce dalle azioni che alcuni soggetti eseguono e altri no; essa è dunque relativa e si può tanto accrescere quanto perdere.
Scrive M.T. Cicerone (De officiis): “sol che vogliamo riflettere sopra l’eccellenza e la dignità della natura umana, comprenderemo quanto sia turpe una vita che nuota nel lusso e si sprofonda nelle mollezze, e per contro quanto sia bella una vita modesta e frugale, austera e sobria. Oltre a questo, bisogna riflettere che la natura ci ha come dotati di due caratteri: l’uno è comune a tutti, per ciò che tutti siamo partecipi della ragione, cioè di quella eccellenza onde noi superiamo le bestie: eccellenza da cui deriva ogni specie di onestà e decoro; l’altro, invece, è quello che la natura ha assegnato in proprio alle singole persone”.
Il cristianesimo valorizza il primo significato della dignità umana, in quanto si reputa che sia la somiglianza dell’uomo con Dio a spiegare la sua posizione del tutto speciale nel mondo della natura. A definire il carattere assoluto della dignità umana, però, contribuiscono in maniera determinate i Padri della Chiesa giacché nel Vecchio Testamento l’idea dell’uomo a immagine di Dio è riservata al popolo eletto.
Le due concezioni della dignità umana convivono in vario modo nei secoli successivi.
Sarà il giusnaturalismo moderno a riprendere il messaggio del carattere assoluto della dignità, la quale peraltro in molte correnti di pensiero viene ricondotta alla libertà morale dell’uomo e alla sua capacità di pensare.
La conseguenza più rilevante di questa impostazione è l’abolizione della tortura e la messa al bando delle pene più umilianti e crudeli.
L’esigenza del rispetto incondizionato dell’individuo è sancita nelle dichiarazioni settecentesche dei diritti.
Si pensi alla Carta dei diritti della Virginia (12 giugno1776), alla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America (4 luglio 1776) e, in Europa, alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto 1789).
In esse si discorre di libertà, di eguaglianza, di fraternità, di diritti naturali inalienabili e imprescrittibili dell’uomo (alla vita, alla sicurezza, ecc., perfino alla ricerca della felicità).
La dignità umana in queste Carte, pur essendo presupposta, non è tuttavia espressamente richiamata.
Bisogna attendere la fine della seconda guerra mondiale (1945), che con le sue vicende ha segnato in forma tragica e indelebile l’intera umanità, perché la dignità umana, con la esplicita menzione in testi normativi, trovi piena legittimazione giuridica.
Il fenomeno va sotto il nome di “giuridificazione” della dignità umana.
Lo Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (1945), per primo, riafferma la “fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana”.
La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, proclamata dalle Nazioni Unite (1948) e definita da Giovanni Paolo II “vera pietra miliare sulla via del progresso morale dell’umanità”, si apre con il “riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili”.
La Costituzione della Repubblica Federale Tedesca (1949) al comma 1 dell’art. 1 dispone: “La dignità dell’uomo è intangibile. Rispettarla e proteggerla è obbligo di tutto il potere statale”.
E al comma 2 aggiunge: “Il popolo tedesco professa perciò i diritti umani inviolabili e inalienabili come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo”.
I diritti fondamentali derivano, dunque, dalla dignità umana e tale riferimento è assoluto, immutabile, immodificabile, come dispone l’art. 79 della stessa Legge fondamentale.
Un’importante conseguenza di questa impostazione è che la dignità va riconosciuta a qualsiasi persona, anche a quella che si è macchiata dei delitti più efferati, e in qualsiasi circostanza: perciò, ad esempio, la tortura non può trovare giustificazione nemmeno per ragioni di sicurezza.
Nella Costituzione italiana (1948) il riferimento alla dignità umana, intesa quale valore assoluto, si rinviene soprattutto là dove essa, nel riconoscere e garantire “i diritti inviolabili dell’uomo”, non soltanto in quanto parte delle “formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità”, ma anche “come singolo” (art. 2), rinvia implicitamente all’art 32, comma 2, della stessa Carta, nel quale è disposto che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e che “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Momenti significativi di applicazione della dignità umana si possono cogliere nella inviolabilità della libertà personale (art. 13, comma 1, cost.); nel divieto di detenzione, di ispezione o di perquisizione personale, se non nei casi previsti dalla legge e in base ad un atto motivato dell’autorità giudiziaria (comma 2); nel divieto di ogni violenza fisica o morale nei confronti di chi è sottoposto a restrizioni di libertà (comma 4); nel divieto di considerare colpevole l’imputato fino a quando non sia intervenuta sentenza definitiva di condanna (art. 27, comma 2, cost.).
Il valore dignità umana è alla base anche dell’affermazione che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (art. 27, comma 3, cost.) e di quella che “Nessuno può essere privato, per motivi politici (espressione da intendersi nel senso ‘di nemmeno per motivi politici’), della capacità, (…) del nome” (art. 22 cost.).
La Costituzione italiana, tuttavia, non si limita valorizzare la dignità della persona considerata in sé e per sé, ma pone l’accento anche sulla dimensione sociale della dignità umana (e qui si può cogliere un importante elemento di novità). Essa nel configurare l’Italia come “una Repubblica democratica fondata sul lavoro”(art. 1, comma 1), nel riconoscere il diritto “effettivo” al lavoro (art. 4, comma 1) e, ad un tempo, nel sancire il dovere di ciascuno “di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (comma 2), connette la dignità non soltanto all’uomo astrattamente considerato, bensì anche all’uomo nei suoi rapporti economico-sociali.
La “pari dignità sociale” menzionata nell’art. 3 cost. va intesa dunque nel senso dell’eguaglianza.
Formale: “Tutti i cittadini (…) sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (comma 1).
Sostanziale: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (comma 2).
In quest’ottica trova giustificazione il richiamo alla dignità umana sia in tema di lavoro subordinato: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 cost.).
Sia in tema di iniziativa economica: “L’iniziativa economica privata è libera” (art. 41, comma 1, cost.). “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (comma 2).
Nella Costituzione italiana, dunque, la dignità umana va non soltanto difesa, ma va anche promossa, giacché è su di essa che si commisura la crescita sociale.
La “pari dignità sociale” richiamata nell’art. 3 cost. di conseguenza si sostanzia nell’attuazione della giustizia sociale, finalizzata alla liberazione dal bisogno, alla realizzazione di equi rapporti sociali, all’eliminazione dei privilegi, alla partecipazione alla vita sociale, insomma, al pieno e libero sviluppo della personalità.
La realizzazione della giustizia sociale implica, tuttavia, l’attuazione non soltanto di una solidarietà assistenziale, ma soprattutto di una solidarietà abilitativa o emancipatoria e, come ha ribadito di recente Benedetto XVI, costituisce il presupposto della stessa carità cristiana.
“La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del ‘mio’ all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che ‘suo’, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso ‘donare’ all’altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è ‘inseparabile dalla carità’, intrinseca ad essa” (Lettera Enciclica “Caritas in veritate” § 6).
In definitiva, si può dire che quando l’uomo è costretto a vivere al di sotto del minimo di sussistenza e cade nell’estrema povertà, anche allora si può correttamente discorrere di violazione della dignità umana.
In tal senso la dignità dell’uomo è anche dignità economica.
L’esigenza di riferire la dignità umana tanto alla persona considerata in astratto quanto all’uomo che vive nella sua concreta dimensione, con le proprie caratteristiche, i propri bisogni, le proprie aspirazioni, si rinviene alla base anche della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000 e riconosciuta dal Trattato di Lisbona del 2007.
Il Capo I della Carta, dedicato proprio alla “Dignità”, dopo averne affermato l’inviolabilità (art. 1), ripropone la dignità umana come tutela della dignità della persona in quanto tale (proibendo torture e pene o trattamenti inumani o degradanti: art. 4; schiavitù, lavori forzati e tratta di esseri umani: art. 5; pena di morte: art. 2), ma ad un tempo lascia emergere tutta l’importanza della tutela della dignità della persona in quando individuo concreto.
Essa, infatti, sulla scia della Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (c.d. Convenzione di Oviedo del 1997), vieta nella biomedicina tutte quelle pratiche lesive della “integrità fisica e psichica” di “Ogni individuo” (art. 3):
1.Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.
- Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:
- il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge,
- il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone,
- il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro,
- il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani”.
Ora, è di tutta evidenza che tutelare l’integrità fisica e psichica di ciascuno significa riconoscere ad ognuno il diritto sia ad essere considerato uguale a qualsiasi altro individuo, sia ad essere considerato un’entità unica, irripetibile, e perciò diversa da qualsiasi altro essere umano.
Ancora una volta risulta ribadito che la dignità umana può essere riferita sia all’uomo in quanto entità generica sia all’uomo in quanto entità specifica.
Ma che si intende per essere umano? Quando inizia e quando finisce la sua vita? Si deve riconoscere una dignità umana anche defunti?
A ben riflettere la risposta a queste domande ripropone il problema di che cosa si debba intenda per dignità umana.
Se si accede alla nozione che essa spetta all’uomo in quanto tale, indipendentemente dalla sua esperienza storica e dalle sue condizioni di vita, le risposte saranno in una certa direzione: ad esempio, la dignità umana potrà essere riconosciuta sin dal momento del concepimento e perfino oltre la morte naturale.
Il limite dell’impostazione è nella considerazione che l’individuo potrebbe vedere non salvaguardata la sua dignità là dove non sia tenuta in debita considerazione la sua visione del modo, la sua idea dell’esistenza, in una parola, la sua filosofia di vita: proprio il senso della propria dignità, ad esempio, potrebbe spingere un malato grave a rifiutare le cure e a chiedere di essere lasciato morire.
Se invece si valorizza la idoneità ad autorappresentarsi e ad esprimere le proprie capacità, le risposte potrebbero essere diverse.
Qui però il limite è ancora più raccapricciante: non si dovrebbe riconoscere la dignità umana non soltanto agli embrioni o ai defunti, ma nemmeno ai neonati, ai malati mentali gravi, ai soggetti in stato vegetativo permanente.
Al riguardo, ammonisce il Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, § 131: “La persona umana è un essere intelligente e cosciente, capace di riflettere su se stesso e quindi di aver coscienza di sé e dei propri atti. Non sono, tuttavia, l’intelligenza, la coscienza e la libertà a definire la persona, ma è la persona che sta alla base degli atti di intelligenza, di coscienza, di libertà. Tali atti possono anche mancare, senza che per questo l’uomo cessi di essere persona”.
“Non resta quindi che muoversi alla ricerca di un nuovo approccio che (…) sappia integrare l’idea della dignità umana come dote con quella basata sulle prestazioni di rappresentazioni o sulle capacità; sappia coniugare l’affermazione universalistica della dignità della persona in astratto con le situazioni particolari che oggi esigono una sua tutela differenziata; in breve, sappia far incontrare l’assoluto di cui l’uomo è la traccia con il contingente in cui sempre di nuovo si esprime la sua condizione”.
E’ questa la condivisibile conclusione alla quale perviene Paolo Becchi, Il principio dignità umana, Brescia, 2009.
Si può concordare con l’illustre e autorevole filosofo del diritto: la dignità umana è valore che può essere superiore alla stessa vita.
Dignità umana, profili giuridici Prof. Gaspare Lisella