CittadinanzAttiva 2009-2010. Incontro sul tema “Dignità della persona: la Dottrina Sociale della Chiesa”. Relatore: S.E. Mons. Michele De Rosa

Il giorno 5 dicembre 2009, presso il Palazzo dei Congressi delle Terme di Telese, si è tenuto l’incontro sul tema “La dignità umana: Dottrina Sociale della Chiesa”, che rientra nel Laboratorio di formazione sociale CittadinanzAttiva, un progetto ideato e realizzato dal Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS della Diocesi di Cerreto S.- Telese- Sant’Agata dei Goti, nell’ambito del. E’ intervenuto S. E. Mons. Michele De Rosa, Vescovo della Diocesi di di Cerreto S.- Telese- Sant’Agata dei Goti.
Nella lingua latina il vocabolo persona indicava originariamente la maschera teatrale tragica o comica e, per derivazione, il personaggio che la utilizzava. La filosofia stoica adopera il termine per indicare l’uomo che, per un volere del destino, deve espletare un ruolo nel mondo. Nel diritto romano la parola contrapposta al termine res,
serve ad indicare che solo l’uomo è soggetto di diritti, mentre le cose (e gli schiavi sono equiparati ad esse) non lo sono, sono cose appunto (R. Frattalone, “Persona”, in S. Leone – S. Privitera (ed.), Nuovo Dizionario di Bioetica, Città Nuova, Roma 2004, pp. 856 – 863).

1. Persona umana

Il Cristianesimo ha il merito di aver introdotto nella storia dell’umanità occidentale il concetto di “persona” (A. Milano, Persona in teologia. Alle origini del significato di persona nel cristianesimo antico, Edizioni Dehoniane, Roma 1996), essere sussistente, cosciente, libero e responsabile. Con tale termine si indica anche il soggetto umano in quanto portatore di diritti e di doveri. Persona quindi è l’essere verso il quale riteniamo di avere obblighi e diritti come verso noi stessi.L’essere umano da quando è stato creato, è un essere che non può vivere da solo ma in relazione, e tale relazione va verso un essere in comunione (Cf J. Gevaert, Il problema dell’uomo. Introduzione all’antropologia teologica, Elle Di Ci, Torino 1973)
La rivelazione cristiana ha messo in evidenza con chiarezza la dignità, la grandezza e la dimensione relazionale dell’uomo. La persona è un “io” aperto al “tu”. Non è solo “razionalità” ma anche “relazionalità”. In particolare la “relazionalità” della persona si esprime e si attua secondo una duplice e inscindibile realtà, quella della “comunione” (la persona è un essere “con” gli altri” e quella della “donazione” (la persona è un essere “per” gli altri) (“Il rapporto tra l’io e il tu è l’amore, attraverso il quale la mia persona in qualche modo si decentra e vive nell’altro, mentre si possiede e possiede il suo amore. Questo amore salda la comunità , che senza di esso non esiste. E l’amore gioca in esso lo stesso ruolo della vocazione per l’unità della persona ( G. Guy, “Mounier Emmanuel” , in Enciclopedia della persona nel XX secolo, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli 2008, p.716). Egli è creato a immagine e somiglianza di Dio in Cristo e, intelligente e libero, è chiamato alla comunione con Dio e con i fratelli: «Dio disse: “facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza” (…). E Dio creò l’uomo a sua
immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,26-27). La bipolarità sessuale fa parte essenzialmente dell’uomo, creata “maschio e femmina”. Nella sua dualità che significa capacità di entrare in un rapporto di dialogo, di comunione, di amore, di dono vicendevole e di fecondità, l’essere umano è creato “a immagine” di Dio. Uomo e donna strettamente collegati hanno la stesa dignità, ricevono le stesse benedizioni e partecipano del potere creatore di Dio ( cf Gen 1, 26-27)
La categoria dell’immagine di Dio specifica chiaramente il rapporto dell’uomo con il Creatore. Egli dipende da Dio non solo nel momento iniziale della creazione ma anche in tutti i momenti successivi: resta immagine di Dio in modo permanente. Tale dipendenza non è per l’uomo qualcosa di secondario, ma, al contrario, è un elemento sostanziale e originario. La relazione di dipendenza da Dio costituisce la realtà e il senso ultimo dell’essere umano.
La categoria dell’immagine trova la sua pienezza in Gesù Cristo, vera immagine di Dio, e la sua missione è di fare di ogni uomo un’immagine sua e, tramite lui, un’immagine del Padre. L’uomo, immagine di Dio, ha un’essenziale connotazione cristocentrica perché da Gesù Cristo riceve la piena e vera immagine di Dio: l’uomo è immagine di Dio soltanto e necessariamente in Gesù Cristo.«In realtà solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Gesù è l’ “immagine dell’invisibile Dio”. Egli è l’ uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio già subito agli inizi a causa del peccato. (…) Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito ad ogni uomo. Ha lavorato con mani di uomo, ha pensato con mente di uomo, ha agito con volontà di uomo, ha amato con cuore di uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel
peccato”(Gaudium et Spes, 22.)

L’uomo è in comunione con l’uomo. Ed è una comunione che è segno e frutto di una donazione, testimonianza dell’amore donante di Dio. «Più precisamente di un amore donante che conduce Dio a fare dell’uomo un “partner” di quel dialogo di comunione e di donazione che costituisce la vita intima di Dio uno e trino, di Dio Padre, Figlio e
Spirito Santo» (D. Tettamanzi, Nuova bioetica cristiana, Piemme, Casale Monferrato (AL), p. 44).
Saranno le controversie trinitarie e cristologiche dei primi secoli del cristianesimo a precisare ulteriormente il significato di persona riferita a Gesù Cristo e alle singole persone della SS. Trinità.
La definizione di persona data da Severino Boezio (Severino Boezio (470 – 524), scrittore e filosofo, completò i suoi studi ad Atene e ricoprì importanti cariche alla corte ostrogota di Teodorico. Accusato di tradimento, nel 525 fu imprigionato e l’anno seguente giustiziato. In carcere scrisse la sua opera più nota: De consolazione philosophiae (la consolazione della filosofia), testo classico per tutta la cultura medievale come esortazione alla filosofia culminante nella contemplazione della provvidenza universale di Dio)-“la persona è la sostanza spirituale di natura razionale” (De duabus naturis et una persona Christi, 3, P.L., 64, col. 1345) – è condivisa dai filosofi e dai teologi del medioevo. San Tommaso sulla scia di Boezio precisa che “ogni individuo di natura razionale è persona”9 (Summa Theol., I, c. 29, a.3 ad 2). “Poiché diciamo persona di Dio, degli angeli e degli uomini – secondo Boezio – bisogna escludere da questa definizione i corpi non viventi (nessuno dice infatti che una pietra sia persona), i viventi privi di sensibilità (un albero non è una persona), nonché le sostanze prive di ragione (non sono infatti persona né il cavallo né il bue né gli altri animali che, privi di parola e di ragione, vivono usando solamente i sensi). Di qui la definizione di persona “sostanza individuale di natura razionale”.
L’uomo rappresenta così la forma più ricca, più autonoma, più attiva di vita, al di sopra del regno dei viventi e al culmine della storia naturale dell’universo. La psicologia, quando parla di “persona” intende speso il temperamento e il carattere dell’individuo. Guardando invece l’uomo da una prospettiva metafisica, vediamo che per primo deve essere messo in risalto il carattere spirituale, intellettivo e morale della persona umana: la persona è unità di spirito e di corpo.
Parlare di persona umana, parlare dell’uomo, significa parlare del suo essere unione di un corpo e di un’anima, di una corporeità e di una spiritualità senza le quali l’uomo non potrebbe essere definito uomo.
Nella cultura del nostro secolo notiamo una grande difficoltà nel riuscire a definire il mistero della persona umana.
Con la nascita e il progresso delle scienze naturali la riflessione filosofica sulla persona subisce un processo di spostamento verso la soggettività.
Kant (Immanuel Kant (1724 – 1804) nella storia del pensiero è una tappa fondamentale. In lui le varie correnti speculative della filosofia moderna convergono e trovano il loro culmine. Anche sulla scienza il kantismo ha esercitato un’influenza indiretta ma decisiva, determinando un indirizzo metodologico e una nuova concezione della matematica e della fisica che si è riflessa sulla stessa costituzione del patrimonio scientifico) afferma che l’uomo è persona solo in quanto è depositario della legge morale e dotato di autonomia. Qui si fonda la sua dignità per cui egli è sempre degno di rispetto e non ha prezzo perché, a differenza degli altri enti, non può essere equiparato se non a se stesso.
La filosofia idealista e marxista, reagendo alla soggettività kantiana accentua la dimensione relazionale.
Nella cultura odierna è diffuso un certo scientismo tecnologico che tende a svuotare la persona e a ridurla al complesso di fenomeni che la scienza rivela e controlla da arbitra suprema. La persona così con i suoi diritti intangibili rimane totalmente sottomessa alla scienza mentre il buon senso e la sana ragione consentono alla scienza di esistere solo e nella misura in cui essa rimane a servizio della singola persona e dell’umanità in quanto tale.
Un’altra visione, oggi molto diffusa, è quella radicale che identifica la persona con la sua libertà. Questa libertà, sganciata da ogni riferimento ad altri valori, diventa la norma prima di ogni moralità. In altre parole bene o male si misurano non a partire dai valori oggettivi ma solo dal fatto che egli sia libero o meno nel tuo agire. Di conseguenza
è moralmente lecito tutto ciò che l’uomo compie liberamente: l’unico limite è costituito dalla libertà altrui.
Nel contesto pluralistico della cultura contemporanea la visione utilitaristica della vita ha una notevole influenza teorica e pratica. La persona viene coartata e ridotta nell’angusto orizzonte pragmatico dell’utile immediato, personale o comunitario, con il rischio, sempre imminente, di misconoscere i diritti della verità; alla bellezza e alla bontà che sono più profondi ed essenziali per la stessa persona ed hanno un riflesso più ampio
per l’intera umanità.
Il personalismo invece sostiene che la persona umana è un valore fondante, trascendente, intangibile e normativo sia della riflessione etica sia della prassi che vuol rimanere umana e morale. Di conseguenza se la persona, come valore fondamentale, rimane al centro di ogni interesse, è bene ciò che custodisce, cura, matura l’individuo in quanto persona ed è male quanto lo degrada, lo strumentalizza o ne distrugge l’esistenza.
“Il supremo possesso e la suprema autonomia della persona si manifestano nel dono di se stessi all’altro nella libertà. La Libertà dell’uomo è la capacità di operare la verità nell’amore” (A. Barca, La persona al centro. Modulazioni pedagogiche del magistero di Giovanni Paolo II, Edizioni Viverein , Roma 2005, p. 40).

2. La dignità della persona umana

«Dopo il “principio speranza” di Ernst Bloch (Il pensiero di Ernst Bloch assume il marxismo come una filosofia dello speranza, critica verso il presente e rivolta verso il futuro. I sogni, le speranze e i desideri dell’uomo, visti nel loro significato antropologico, esprimono una generale tensione verso il fine o significato ultimo della storia che è l’incontro e la reciproca liberazione dell’uomo e della natura) e quello della responsabilità di Hans Ionas (L’uomo deve diventare non solo teoricamente ma anche praticamente il custode dell’essere, una volta constatato, anche in seguito alle terribili esperienze della storia, che non è più possibile confidare in una divinità onnipotente bensì solo in una che rimette all’uomo, insieme al dono della libertà, la responsabilità per il fallimento o la riuscita della creazione stessa), un terzo principio negli ultimi anni è al centro del dibattito filosofico. Il “principio dignità umana”» (P. Becchi, Il Principio dignità umana, Morcelliana, Brescia 2009, p .5). Sin da quando nel mondo antico la locuzione “dignità umana” acquista rilevanza filosofica viene impiegata in due diverse accezioni che pur evolvendosi nel tempo tuttavia si ripresentano anche ai nostri giorni.
Per un verso “dignità indica la posizione speciale dell’uomo nel cosmo, per l’altro la posizione da lui ricoperta nella vita pubblica. “Dignità” è connessa sia al fatto che l’uomo si differenzia dal resto della natura perché è l’unico animal rationale sia al fatto che si differenzia da altri uomini per il ruolo attivo che egli svolge nella vita pubblica e che gli conferisce un particolare valore. Nel primo senso è l’uomo in quanto tale ad avere quella dignità che gli deriva dall’essere al culmine della scala gerarchica della natura, nel secondo senso dipende dalla posizione che egli ricopre nella scala gerarchica sociale.
Il cristianesimo offrirà un potente incentivo all’affermazione del valore universale della dignità umana, anche se non si può dimenticare che l’istituto giuridico della schiavitù persisterà ancora per lungo tempo nel mondo cristiano. Sarà infatti con la dottrina dei Padri della Chiesa che l’idea antico testamentaria dell’uomo come “immagine di Dio” (Gen 1,26-27) verrà estesa dal popolo eletto a tutti gli uomini.
Ed è proprio la somiglianza dell’uomo con Dio a spiegare ora la sua posizione del tutto speciale nel mondo della natura: Dio ci ha creati tutti a sua immagine, onorandoci con questo di una dignità trascendente. Un’idea rafforzata dal farsi uomo di Dio in Gesù Cristo e che avrà una sorprendente resistenza ben oltre il medioevo anche se per
l’epoca moderna, intrisa di secolarizzazione, non sarà più la Bibbia il punto di partenza.
Bisognerà attendere la fine della seconda guerra mondiale per trovare una piena legittimazione giuridica della dignità umana.
A partire dallo Statuto (o Carta) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (1945) e dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo sono molteplici i documenti giuridici in cui si trova un richiamo alla dignità umana. Di fronte al flagello delle due guerre mondiali, la Carta riaffermava “la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana” e la Dichiarazione si apriva con il “riconoscimento della dignità inerente a tutti membri della famiglia umana e dei loro diritti uguali e inalienabili.
Per la dignità umana è avvenuto nel corso della metà del secolo scorso qualcosa di simile a ciò che si è verificato con i diritti umani.
Se da principio essi riguardavano l’uomo in astratto, come ente generico, indipendentemente da qualsiasi determinazione concreta (sesso, colore, lingua, ecc.) riservando a ciascun uomo il diritto ad essere trattato come qualsiasi altro uomo, in seguito si è passati a considerare l’uomo in concreto nella specificità dei suoi diversi status, differenziati a secondo del sesso, dell’età, delle condizioni fisiche e sociali.
Tanto il primo processo insiste sulla necessità dell’uguale trattamento degli esseri umani, quanto il secondo sulla necessità di un diverso trattamento: la donna diversamente dall’uomo, il bambino dall’adulto, l’adulto dal vecchio, il sano dal malato.
È questo processo che ha fatto spostare l’accento dall’uomo considerato in astratto uguale a qualsiasi altro uomo all’uomo considerato in concreto, con tutte quelle diversità che gli derivano dal far parte di un gruppo piuttosto che un altro e dal trovarsi in una fase della vita piuttosto che in un’altra. Questo spiega i diritti delle persone di colore, delle minoranze etniche o di altro genere, gli interventi umanitari nei confronti di popolazioni ridotte in stato di estrema povertà e con riferimento alle diverse fase della vita, i diritti del bambino, dell’anziano, del malato (specificamente del malato mentale), delle persone diversamente abili.
Più recentemente l’accento si è spostato sulle diverse fasi della vita pre-natale (in connessione alle tecniche di procreazione radicalmente assistita e alla manipolazione genetica) e sulle diverse fasi che accompagnano un morire sempre più sottoposto al controllo tecnologico.
Diritti dell’embrione e/o feto e diritti del malato terminale o in condizioni di persistente incoscienza (a partire dal cosiddetto “testamento biologico”) sono oggi al centro del dibattito. E spesso, proprio in questi ultimi contesti, è frequente il richiamo alla dignità umana.
Ma che cosa si intende per essere umano? Quando comincia e finisce la vita?
Come si pone il problema della dignità umana in connessione a questi due eventi della condizione umana, la vita e la morte, oggi sempre più sottoposti al dominio tecnologico?
La domanda su cosa sia l’uomo non è certo nuova, ma oggi è diventata la domanda decisiva, poiché stiamo avanzando sempre più verso modelli di esistenza postumana che stanno erodendo il concetto di umanità. La diagnosi di Günther Andrers ne L’uomo è antiquato (Torino 2003), di un passaggio dall’homo faber all’homo creator, si sta
rivelando profetica (Secondo Günther Anders (1902-1992) oggi l’uomo ha scalzato Prometeo e si è messo al suo posto come dio dotato della potenza della tecnica. Egli comincia a sentire che il suo corpo rischia di rimanere incatenato alla sua morfologia costante, alla sua refrattarietà anche culturale alla modificazione, non libero, non plasmabile, una sorta di ferro vecchio, antiquato. L’uomo rischia di divenire un impaccio, una sorta di peso morto, un sabotatore delle sue macchine. La macchina non guarisce dall’impotenza, ma la esalta. La tecnica minaccia di travolgere la persona e, con essa, ogni morale tradizionale. Alla macchina dobbiamo opporre ciò che contraddistingue l’uomo e che mai una macchina potrà possedere: la fantasia. Bisogna suscitare una morale della fantasia ed insegnare agli uomini ad immaginare l’impossibile)
Non si possono peraltro condannare le biotecnologie se esse ci aiutano a sconfiggere le malattie genetiche o a vivere meglio con l’aiuto di protesi o organi artificiali; l’importante è però che esse non ci trasformino in animali di allevamento. Anche su queste il dibattito è particolarmente acceso. E non c’è discussione al riguardo
che non passi attraverso un riferimento alla dignità umana.
Essa viene chiamata in causa persino per sostenere posizioni tra loro opposte. Il caso paradigmatico è quello dell’eutanasia. Sia coloro i quali ritengono che la vita umana sia sacra e indisponibile, e quindi la condannano, sia coloro che, insistendo sulla sua qualità, invece la sostengono, spesso lo fanno richiamandosi al principio della dignità
umana.
Non di rado ci si appella alla dignità umana persino ben oltre la morte dell’individuo. Più recentemente il problema della dignità umana è stato sollevato anche in connessione a quella condizione clinica definita morte cerebrale a partire dalla quale è possibile prelevare gli organi a scopo di trapianto.
Ma è sulle questioni di inizio vita che attualmente si sollevano interrogativi: si può parlare di dignità umana anche riguardo alla vita umana prenatale e quali conseguenze possono da ciò scaturire per il problema della manipolazione genetica?
Mentre riguardo alle problematiche di fine vita entrambi gli schieramenti fanno riferimento alla dignità umana per sostenere posizioni persino opposte, riguardo alle problematiche di inizio vita vi è chi considera il richiamo al principio della dignità umana come un freno all’utilizzazione e alla manipolazione medicalmente assistita e chi invece dubita fortemente che sia possibile affrontare tali problematiche facendo ricorso a quel
principio.
In ogni caso la concezione della dignità umana quale dote di ciascun essere umano fornisce senza dubbio una protezione più efficace. Se si ritiene infatti che la dignità umana spetta all’uomo in quanto tale, indipendentemente da tutti quegli elementi empirici che caratterizzano le sue diverse condizioni di vita, la conclusione logica sarà: la
dignità umana riguarda l’uomo dal momento del concepimento e oltre la sua morte naturale. Si tratta di coniugare l’affermazione universalistica della dignità della persona umana in astratto con le situazioni particolari.
Da parte nostra dobbiamo far incontrare l’assoluto, di cui l’uomo è la traccia, con il contingente in cui sempre di nuovo si esprime la sua condizione. Perciò la dignità dell’uomo si manifesta nel suo essere capace di apertura e di
accoglienza dell’altro. Essere aperti ad accogliere l’altro significa dargli la possibilità di esprimersi come persona e, così facendo, ne rispettiamo anche la sua stessa dignità.
Quando trattiamo la persona umana identificandola con una delle funzioni che svolge, la escludiamo dalle sue reali capacità e la riduciamo ad una “cosa” oppure a uno strumento: in questo modo le neghiamo la dignità che spetta ad ogni uomo.
L’uomo, proprio perché è stato creato libero di accettare o di rifiutare il disegno del Creatore, deve essere una creatura che agisce con responsabilità e consapevolezza.
Da ciò ne consegue che il suo comportamento rispecchia l’essere ad immagine del suo Creatore e quindi il suo agire deve rispettare la libertà dell’altro. La creatura umana è in grado di riflettere sulla sua stessa umanità, perciò il suo modo di rapportarsi agli altri non può, e non deve, essere istintivo, bensì deve rivelare la sua superiorità rispetto al tutto il resto del creato.
L’uomo può fare ciò in quanto possiede l’autocoscienza, la quale gli permette di rendersi conto del proprio comportamento, sia rispetto a se stesso sia rispetto agli altri.
È pur vero che l’uomo – come dice Pascal – è una canna che sulla riva del fiume si piega in presenza anche di un debole venticello, ma diversamente dalle “cose” e dagli esseri viventi è una canna pensante.
Questa è la sua grandezza. Dio ha immesso in lui una scintilla della sua intelligenza e della sua capacità di amare che gli permette, pur nella fragilità della natura umana, di essere il re dell’universo e il luogotenente di Dio sulla terra.

✠ Michele De Rosa
Vescovo di
Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti

La dignità umana, Dottrina Sociale della Chiesa S. E. Mons. Michele De Rosa

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