SINTESI QUARTO INCONTRO- Il Prof. Pier Paolo Forte, Docente dell’Università del Sannio, interviene sul tema “Giustizia sociale e dignità umana”

Il quarto incontro del XII Corso di CittadinanzAttiva si è svolto sabato 17 dicembre 2016 a Cerreto Sannita, presso l’Auditorium dell’IIS Carafa – Giustiniani e ha visto la partecipazione in qualità di relatore del Prof. Pier Paolo Forte, docente dell’Università del Sannio, sul tema “Giustizia sociale e dignità umana”.

E’ stata la Presidente del Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS, Patrizia Lombardi, a dare avvio ai lavori in questo pomeriggio di studio, approfondimento e confronto, soffermandosi su alcuni passi dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, filo conduttore del Corso di quest’anno. In particolare, la sua attenzione è stata rivolta ai numeri 82 e 43 del documento pontificio, che recitano testualmente: “Quando si propone una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse, ciò comporta gravi conseguenze per la società. La visione che rinforza l’arbitrio del più forte ha favorito immense disuguaglianze, ingiustizie, violenze per la maggior parte dell’umanità perché le risorse diventano proprietà del primo arrivato o di quello che ha più potere.” (82) “(…) i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro.” “In questo scenario, oltre ai due concetti chiave della sostenibilità ambientale e della responsabilità sociale d’impresa, trattati nei precedenti incontri, rientra anche la necessità di combattere una crisi sociale. “Se teniamo conto del fatto che anche l’essere umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto a vivere e ad essere felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamo tralasciare di considerare gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone.” (43)

Dopo il breve intervento della Presidente Lombardi, accompagnato dal consueto rintocco della campana, si è entrato nel vivo dell’incontro. Il Prof. Forte ha ritenuto opportuno precisare, all’inizio della propria riflessione, che la giustizia, quale idea, concetto, espressione così importante nella storia romana, intorno alla quale si sono mosse energie clamorose, si sono costituiti e hanno lottato, anche aspramente, terribilmente, movimenti politici, determinando svolte storiche, cambiamenti istituzionali e costituzionali, rivoluzioni, rimane, tutt’oggi, una questione aperta per l’essere umano, in quanto rimessa alla nostra fatica, al nostro cammino, al nostro compimento, alla nostra responsabilità individuale oltre che collettiva. Secondo il Prof. Forte, noi nasciamo con un senso di giustizia, non con una concezione di giustizia. Per il solo fatto di essere umani, infatti, siamo dotati di una specie di sentimento, di sensazione intima, in qualche modo connaturata all’animo umano, della giustizia, che ci fa propendere molto velocemente su cos’è giusto e cosa no, ci orienta nelle scelte e nelle decisioni, salvo, purtroppo, alcuni casi, non del tutto rari, in cui ci rendiamo conto di aver commesso un errore, di non aver considerato qualcosa. Insomma, non sempre ciò che scegliamo in nome della giustizia, effettivamente produce giustizia. Questo succede perché è davvero molto difficile definire che cos’è la giustizia.

Per questo motivo, il Prof. Forte ha scelto di concentrarsi sul concetto di dignità, in quanto rispetto alla giustizia, ha avuto un percorso meno indefinibile, anche se tutt’altro che semplice. La parola dignità, infatti, ha vissuto, dal punto di vista linguistico, un’”enantiosemia”, ovvero nel corso del tempo ha assunto un significato opposto a quello etimologico. Per molti secoli la parola dignità, sia nella sua funzione di sostantivo che di aggettivo, è stata usata prevalentemente per distinguere tra di loro le persone. Oggi, invece, serve paradossalmente ad indicare ciò che le accomuna tutte.  Dunque, dal punto di vista concettuale si passa da una storica idea per cui degno e indegno sono categorie di differenziazione, ad una palingenesi per la quale la storia moderna affida alla dignità il rapporto di  uguaglianza assoluta tra gli uomini. La dignità diventa un elemento indiscutibile nel trattamento giuridico delle persone, che tutti gli ordinamenti del mondo riconoscono come tale, che possiamo pretendere rimanga invariabile e inviolabile, ponendo un limite al di sotto del quale non si può scendere.

Anche il concetto di uguaglianza, tuttavia, come quello di dignità a cui è strettamente collegato, ha subìto cambiamenti e modificazioni nel corso del tempo, in particolare nell’Ottocento e nel Novecento Agli esordi della modernità, l’idea di uguaglianza era piuttosto infantile. Questa malcelata, malintesa, distintiva idea dell’egalitarismo, per certi aspetti pauperista com’è stato detto, cioè “io ti costringo ad essere uguale a quell’altro, chiunque esso sia”, è stata, secondo molti studiosi, una delle principali cause delle tragedie e delle giustificazioni di ciò che è accaduto con i totalitarismi novecenteschi.

In questo scenario, si innesta la nostra Carta Costituzionale con l’art. 3, che recita:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Quest’articolo è stato ripreso abbastanza similmente nella quasi coeva Carta Costituzionale tedesca, è stato molto utilizzato nelle Carte Costituzionali deutero-novecentesche (della seconda metà del Novecento), perché compie un percorso, sotto questo punto di vista emendativo, della storia che c’era stata prima di quel momento, prevedendo due parti. Il primo comma riprende il concetto di uguaglianza di cui parla Tommaso Moro nel suo scritto “Utopia” e Tommaso Campanella ne “La città del sole”. Se si fosse fermato qui il disposto costituzionale, noi probabilmente avremmo prolungato questa idea infantile dell’uguaglianza e forse la nostra Carta Costituzionale non sarebbe stata quella che invece è stata e non avrebbe prodotto i risultati sociali e politici che invece ha prodotto. I padri costituenti, però, ebbero l’accortezza di aggiungere un secondo comma, che, letto insieme al primo, ci permette di affermare, alla fine di un ragionamento complesso, che il principio di uguaglianza della nostra Carta Costituzionale valorizza le differenze, tutelando la possibilità per ciascuno di noi di rimanere diverso. Quest’ultimo aspetto ha determinato una svolta dal punto di vista intellettuale e culturale, portando la seconda metà del Novecento verso la complessità sociale.

Dopo questa breve e dovuta digressione sull’analisi del concetto di uguaglianza, la cui tecnica di preservazione passa attraverso il paradosso della valorizzazione delle differenze, il Prof. Forte torna di nuovo a quell’idea di dignità quale unico elemento che accomuna tutti. Mentre sono tutelate le differenze a titolo e in nome dell’uguaglianza, ciò che invece rimane unitario e uniforme per ciascuno è la dignità. Paolo in una lettera ai Galati scrive così: “Non v’è giudeo né greco, non v’è schiavo né libero, non v’è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.” Per Paolo, la creazione e l’incarnazione costituiscono gli uomini nel loro valore comune indipendente da ogni status. Gli status naturalmente esistono ma non sono fattore identificante e fondamentale. Ciò che per Paolo e quindi per la tradizione cristiana si colloca in una dimensione trascendente nel suo valore teologico, diventa ad un certo punto matrice culturale prolungandosi nel tempo e giungendo fino a Kant, all’alba della modernità, in epoca pienamente illuminista.

Kant, com’è noto, sostiene la massima morale per cui si deve agire in modo da considerare l’umanità sia nella propria persona sia nella persona di ogni altro, “sempre anche al tempo stesso come scopo e mai come semplice mezzo”. In altri termini, la persona, essendo essere razionale, è un fine in sé e non può venire adoperata esclusivamente quale mezzo. L’imperativo morale che Kant ne fa derivare è quello per cui ogni uomo, ogni essere ragionevole, ovvero razionale, in quanto fine in sé possiede un valore non relativo (il prezzo), bensì un valore assoluto, o meglio intrinseco (la dignità).

Poiché non si può negare la comunanza di genere con l’altro, l’ego e l’alter si identificano. Dunque, come diceva un grande pensatore del secolo scorso, chi disprezza l’altro, disprezza se stesso. Si pensi ancora alle parole di Gesù di Nazareth: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (in questo caso,  si dà per scontato che ognuno di noi ama se stesso e che la quantità di amore che riversa nell’altro è profondamente dipendente dalla quantità di amore, di coltivazione, di attenzione, di cura che si ha per se stessi;  più ti prendi cura di te, più amore avrai per il prossimo, meno ti prendi cura di te, meno amore avrai, probabilmente, per il prossimo).

Entra in scena la seconda persona. Accanto a me, ci sei tu e la dignità rappresenta ciò che ci accomuna, tutto il resto può divergere, può essere differente. Quello che mette in dialogo prima e seconda persona, è l’uguaglianza della dignità. Esiste, tuttavia, anche una terza persona, che, sebbene non fisicamente presente, non può essere ignorata in quanto dotata della stessa dignità che è alla base della relazione tra prima e seconda persona. Questo nucleo della dignità è il fondamento essenziale per tutto ciò che regge il nostro ordinamento giuridico e la nostra esperienza, come ad esempio l’autonomia privata, il problema dello straniero, la storia dell’evoluzione femminile, la cura dei pazzi con l’abolizione dei manicomi, il trattamento dell’embrione e del fine vita, i portatori di handicap, il business dell’impresa, la libertà di manifestazione del pensiero, ecc.

Il Prof. Forte conclude il suo intervento affermando: se c’è una lanterna che ci può far muovere sul senso della giustizia, questa lanterna è il senso della dignità.

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Foto: Alessandro Tanzillo

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