CittadinanzAttiva 2007-2008. Incontro sul tema “Responsabilità etica e senso del dovere”. Relatrice: Prof.ssa Pina De Simone

Il giorno 1 dicembre 2007, in occasione della terza lezione del Laboratorio di formazione sociale CittadinanzAttiva, organizzato dal Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS, è intervenuta, sul tema “Responsabilità etica e senso del dovere”, la prof.ssa Pina De Simone, docente universitaria alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale.

La prof.ssa De Simone, rimanendo colpita dalla presenza di numerosi giovani, afferma che una tale visione apre il cuore, lascia sperare e fa credere nella possibilità che ci siano delle sorti migliori per l’umanità. Infatti, fin quando le nuove generazioni sono capaci di mettersi in gioco, di mettersi in cammino e ritrovarsi a pensare, a riflettere, a interrogarsi su questioni della vita comune, c’è anche la speranza in un futuro migliore.

Introduce la tematica della lezione, precisando che sarà affrontata da un punto di vista filosofico. Ciò significa che l’attenzione non sarà focalizzata su discorsi di attualità o su una tessitura di idee astratte, perché la filosofia è pensare la vita, non ha altro dato che la vita, muove dalla vita, è riferita alla vita; il suo scopo, come dice Capograssi, è rendere alla vita una chiara consapevolezza di se stessa.

E proprio Capograssi, nato a Sulmona il 21 marzo 1889 ed è morto nel 1956; ordinario di filosofia del diritto, un uomo impegnato non solo a livello accademico, ma anche a livello sociale e civile, sarà l’autore di riferimento dell’intera lezione, in quanto ha la capacità di leggere in profondità la vita comune, la vita di tutti.

La De Simone apre l’incontro, affermando che la filosofia ci aiuta a capire che cosa viviamo. Capire la vita è un dovere, affinché il vivere non sia soffocato. Occorre, quindi, andare a ricercare le ragioni e le radici del vivere per poter dare respiro al vivere stesso. Il discorso che la prof.ssa De Simone affronterà, quindi, sarà di taglio filosofico e ancora più specificamente di taglio fondativo, perché andrà ad analizzare la nostra esperienza quotidiana di vita

In quest’ottica, la prof.ssa De Simone ritiene opportuno invertire i termini del tema assegnatole, trattando prima del senso del dovere e poi della responsabilità etica, in modo da ripercorrere l’emergere del senso del dovere nella concretezza della vita vissuta.

Il senso del dovere non si definisce rispetto ad un’esteriorità, come in genere siamo abituati a pensare, rispetto a qualcosa che interviene dall’esterno, imponendosi a noi, come ad esempio la legge. Il nostro agire si apre di per sé ad una normatività che gli appartiene, che viene dal cuore della vita. In altri termini, la norma, che si prospetta come necessaria,  è dentro la vita stessa; è un’esigenza che è inscritta nella tensione della vita ad andare oltre il frammento della singola azione, della singola scelta, ad andare oltre l’immediatezza. Le nostre scelte hanno bisogno di essere tenute insieme da un filo, che le orienta verso un fine, che le rende unitarie. Se così non fosse, non potremmo più parlare di un agire personale, ma parleremmo di un agire misotico, frammentario, che rimane prigioniero dell’immediato.

La norma, invece, col suo prospettarsi come esigenza del cuore della vita stessa, impedisce alla persona di essere catturata dalla fragilità dell’attimo, perché prospetta ciò che vale e che in quanto tale può orientare l’agire tessendone il filo. La vita e l’agire hanno bisogno di una dimensione normativa per poter essere una vita e un agire pienamente umani, che si sviluppano nella libertà e nella consapevolezza.

La norma appartiene alla vita anche in un altro senso, perché dice ciò che della vita è più proprio. La norma esprime il desiderio più profondo della vita, che nessuno potrà mai strapparci e cioè il desiderio che la nostra vita sia in pienezza. Questo desiderio della felicità, che S. Agostino chiamava il santo desiderio, ci spinge a cercare le cose grandi e belle che danno sapore alla vita, ci spinge verso i grandi ideali (il giusto, il vero, il bello, il bene, …), definiti da Capograssi come le segreti e potenti preferenze dell’agire e del volere dell’uomo. Il valore non è un’entità astratta. C’è una percezione e una conoscenza del valore che è connaturale all’uomo. Il valore è intuito, è colto prima di tutto a livello di sentire. Scheger afferma che c’è un’intuizione emozionale dei valori, perché prima ancora di essere conosciuti i valori sono avvertiti, sono sentiti.

Non bisogna, quindi, lasciarsi ingannare da un’immagine della morale come qualcosa di asettico e formale, che ti porta a dimenticare che cosa significa sentire, desiderare, cosa significa passione, sentimento, emozione, perché tutto questo è alla radice dell’esperienza morale.

La nostra vita, in questo suo essere protesa verso la pienezza, è aperta sull’assoluto, è attraversata da una sete di infinito, da un’ansia dell’eterno. Quando si parla di ciò che è infinito, di ciò che vale in maniera assoluta, non si sta parlando di qualcosa che è separato dalla vita, ma di qualcosa che si lascia intuire e cogliere nella concretezza della vita a partire dai livelli più ordinari dell’esistenza. L’assoluto abita la vita, in quella sete di infinito che attraversa l’esistenza stessa, in quella ricerca di cose grandi e belle che danno sapore alla vita.

Se è vero che la nostra vita è protesa verso il desiderio della felicità, cioè se è vero che il senso del dovere è legato al desiderio della pienezza di vita, bisogna anche capire come il senso del dovere si lega al desiderio, come avviene che a partire dal desiderio emerga il senso del dovere.

La prof.ssa De Simone propone come chiave di lettura il percorso di riflessione di Capograssi, il quale afferma che nel suo sorgere l’azione è sorella del sogno. In altri termini, quando qualcuno sceglie di fare qualcosa in vista di un fine, e poi agisce in relazione a quello che ha scelto, ciò che caratterizza l’azione è l’entusiasmo. L’azione, quindi, è sorella del sogno perché è attraversata nel suo sorgere da grandi idealità, da grandi speranze, però, quando agiamo in vista di un fine che desideriamo, accade che ci rendiamo conto che questo fine, essendo distante nel tempo, per raggiungerlo c’è bisogno di impegno. La fatica ci preoccupa, ci fa paura perché ognuno di noi teme di soffrire, ognuno di noi teme che questa fatica sia molto più grande rispetto al vantaggio che possiamo trarre dal nostro perseverare nell’impegno. Di conseguenza, dato che non riusciamo a sopportare la fatica, perchè abbiamo paura di esporci alla sofferenza, abbiamo paura di lasciarci coinvolgere da un’azione che puntando in alto richiede impegno che dura nel tempo, cerchiamo di ridurre il campo dei nostri interessi, ci limitiamo a desiderare quelle cose che servono nell’immediato e soddisfano bisogni elementari. Si cerca di limitare l’orizzonte del proprio sentire interiore. Cerchiamo di agire il meno possibile, cioè cerchiamo di non coinvolgere noi stessi nelle cose che facciamo. Viviamo all’esterno di noi stessi. Tutto ciò, afferma Capograssi, determina una situazione in cui si ha il massimo dell’azione, ma anche il massimo dell’inazione. Oggi c’è un agire frenetico, però nella maggior parte delle cose che facciamo, non siamo coinvolti fino in fondo. Quindi, possiamo parlare solo relativamente di una nostra azione, in quanto si tratta di un agire solo esteriore che non è accompagnato da consapevolezza e coinvolgimento. Se questo è vero, ci potremmo chiedere: dove c’è la possibilità della consapevolezza, della responsabilità, del riaffacciarsi autentico del desiderio, dove possiamo parlare di senso del dovere? Quando limitiamo l’orizzonte del nostro desiderare, quando ci accontentiamo sempre di più di soddisfare i bisogni più elementari, succede che apparentemente ognuno di noi decide liberamente cosa fare in base alle proprie esigenze, però in realtà nasce dentro di noi un senso sottile e profondo di inquietudine, di insoddisfazione, che riemerge continuamente. Ciò significa che la vita che vivo non è quella che vorrei vivere. Più precisamente, mentre sembra che io faccia quello che voglio, sto soffocando il mio autentico volere. Quello che io veramente desidero, cerco di soffocarlo perché ho paura della sofferenza che l’ascolto di questo desiderio può determinare.

E’ proprio nell’emergere della consapevolezza dello scarto che c’è tra la vita che vorrei e quello che faccio, che si fa strada il senso del dovere. Il dovere, allora, prospetta quello che veramente voglio, richiama alla necessità di volere la vita e di volerla fino in fondo nella sua interezza, in tutti i suoi fini, nella pienezza della sua realtà. Il dovere restituisce il volere a se stesso. Nel dovere, il volere, dice Capograssi, prende ad oggetto se stesso.  Nel dovere, io sono spinto a volere quello che permanentemente voglio, che mi viene prospettato come ciò che vale al di sopra di tutto, che occorre realizzare come una necessità. Se non si cerca la vita nell’interezza della sua realtà, si perde se stessi, la possibilità di essere felici, si perde la propria libertà, il senso delle cose grandi e belle, si perde la  passione della vita da cui può nascere un agire consapevole e libero.

Quando pensiamo che siamo noi a stabilire quello che vogliamo, alla fine ci accorgiamo che siamo etero-diretti, cioè c’è qualcun’ altro a cui affidiamo le fila della nostra esistenza. Riusciamo ad essere veramente liberi soltanto quando ritroviamo il desiderio del cuore, cioè quando ci interroghiamo seriamente e profondamente su ciò che vogliamo.

L’esperienza morale consiste nel volere la vita in tutti i suoi fini, in ogni singola azione che si compie. Non si tratta di una prospettiva d’insieme, ma questa prospettiva deve valere in quello che si compie ora, perché l’azione che si compie oggi si riverbera sull’interezza della nostra vita.  Il valore della propria esistenza ognuno di noi se lo gioca in tutte le sue azioni.

L’esperienza morale e il senso del dovere nell’esperienza morale, afferma Capograssi, non aggiunge nulla alla vita. Siamo abituati a pensare alla morale come un sistema di regole applicate alla vita per regolamentarla, in realtà la dimensione etica appartiene alla vita, ha la sua radice nella vita stessa.

La morale dice la vita nella sua profondità e realtà; non aggiunge nulla solo realizza quest’esigenza di vivere la vita nella sua integrale realtà. Se quanto affermato finora è vero, il senso del dovere non mi allontana da me stesso, non mi porta a perdere me stesso, ma mi fa ritornare in me stesso, mi riconsegna alla verità di me stesso, mi aiuta a riprendermi l’anima, a ritrovare la mia capacità di vita interiore contro quella che Capograssi chiama l’etica dello stordimento, cioè il bombardamento del nucleo individuale della vita, il tentativo sistematico di esorcizzare l’interiorità, perché siamo continuamente trascinati in una dimensione esteriore, nella quale si perde lo spazio dell’anima. Occorre, invece, recuperare questo spazio dell’anima, che è lo spazio dell’ascolto interiore della vita, lo spazio della riflessione, della libertà. Tutto ciò è possibile attraverso il senso del dovere, rendendomi capace di andare oltre me stesso. Il senso del dovere non soffoca il desiderio, ma libera il mio autentico desiderio, mi educa ad ascoltare la parola della vita. Proprio per questo, mi rende capace di responsabilità, cioè di rispondere in prima persona all’appello che viene dall’altro, dal mondo, dalla vita che vivo ogni giorno. La responsabilità è risposta, ma per rispondere occorre saper ascoltare. Non ha senso, pertanto, parlare di responsabilità laddove si è perso lo spazio dell’anima.

La prof.ssa De Simone, con il suo intervento, ha fornito gli strumenti per rileggere la nostra esperienza di vita, per ritrovare il senso profondo della dimensione etica, il senso del dovere nel suo legarsi al desiderare del cuore, alla concretezza della nostra esistenza.

 

Agata Abbamondi

Patrizia Lombardi

Ada Mancinelli

Prof.ssa P. De Simone 1 dicembre 2007

 

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