Prolusione del Laboratorio di formazione sociale CittadinanzAttiva 2007-2008 “Responsabilità sociale: testimoni”

E’ stato inaugurato il 10 novembre 2007, presso il Palazzo dei Congressi delle Terme di Telese, il Terzo Laboratorio di formazione alla sensibilità sociale e civile “CittadinanzAttiva”. Il tema di quest’anno è “La responsabilità per una partecipazione consapevole alla realtà sociale.” Attraverso questo corso, il Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS vuole offrire soprattutto ai giovani l’opportunità di approfondire, a livello dottrinale, ma anche nell’esperienza di alcuni testimoni, il senso dell’impegno e del dovere legato ai grandi valori.

Gli ospiti della serata sono stati: Giovanni Bachelet e Arturo Di Mezza, campione olimpionico di atletica leggera.

Giovanni Bachelet, figlio del giurista Vittorio, è docente di Fisica all’Università La Sapienza di Roma. E’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Ha insegnato in Germania, negli Stati Uniti e in diverse università italiane. E’ stato vicepresidente della società biblica. E’ socio di AC. Collabora con diverse testate giornalistiche cattoliche ed è tra i fondatori del comitato dei garanti dell’Associazione Libertà e Giustizia.

Apre l’incontro il Dott. Gennaro Capasso, sindaco di Telese Terme, il quale si sente onorato per la presenza di illustri testimoni e per la realizzazione, nel proprio Comune, di un progetto alla legalità che mira alla formazione di giovani e allo stesso tempo costituisce un’occasione di riflessione per gli adulti.

Una tale iniziativa, afferma il Sindaco, non è da considerarsi un dispendio di risorse economiche, ma un investimento che si ripercuote positivamente sulla società in quanto contribuisce ad arricchire il capitale umano delle future generazioni.

Il Dott. Capasso, concludendo, si impegna a sostenere il progetto CittadinanzAttiva e ringrazia don Franco Piazza, Presidente del Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS e S. E. Mons. Michele De Rosa, Vescovo della Diocesi di Cerreto S.- Telese- Sant’Agata dei Goti, per l’impegno profuso nella realizzazione di iniziative di rilevanza sociale e culturale.

Proseguendo con i saluti e i ringraziamenti, il Vescovo De Rosa ringrazia le autorità presenti ed in particolare il Dott. Luca Colasanto, Direttore de Il Sannio Quotidiano per aver riservato una sezione del proprio giornale alle attività della diocesi. Il Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS, afferma il vescovo, nato dall’esigenza di colmare la carenza di stimoli culturali e sociali del nostro territorio, opera, in collaborazione con l’Università del Sannio, con le istituzioni e gli Enti locali, su tre dimensioni: la memoria, la formazione e il dialogo.

Ogni anno Comuni diversi ospitano la Festa di San Tommaso Moro, per ricordare personaggi che hanno dato lustro al nostro Sannio e per offrire uno spazio di dialogo al fine di creare coesione e sinergia tra le istituzioni e le autorità preposte alla salvaguardia del bene comune.

Riferendosi all’esortazione post-sinodale Evangelium Nuntiandi di Paolo VI, il Vescovo ribadisce che “il mondo moderno non ha bisogno di maestri ma di testimoni”, in quanto le idee camminano con le gambe degli uomini ed arrivano a noi tramite la loro voce.

Ricorda due testimoni esemplari di impegno civile e di valore etico:

  • Giorgio La Pira, che sapeva leggere i segni dei tempi e che intendeva l’essere laico come servizio alla Chiesa nella testimonianza del Vangelo, senza chiedere privilegi e riconoscimenti. Il suo carisma consisteva nell’essere testimone della speranza cristiana nella Chiesa, nella vita pubblica e nel mondo. La sua speranza non è un vago sentimento o una nota di ottimismo, ma è credere nella figura di Gesù Cristo;
  • Vittorio Bachelet, presidente di Azione Cattolica che ha posto al centro della vita del laico non soltanto l’azione ma soprattutto la parola di Dio. Uno dei martiri del nostro tempo che, pagando con la propria vita, contribuisce a mantenere viva la speranza in una società dell’amore contro le brutture del mondo.

Prima di introdurre l’intervista condotta dalla Dott.ssa Nunziato, Don Franco Piazza vuole presentare Giovanni Bachelet, leggendo la preghiera che egli scrisse per i funerali del padre ucciso dalle Brigate Rosse, in un momento in cui l’Italia era su un crinale delicatissimo dove la violenza poteva prevaricare la dignità dello Stato e la coesione sociale.

“Preghiamo per i nostri governanti, per il Presidente Sandro Pertini, per il Presidente del Consiglio Francesco Cossiga; preghiamo per tutti i giudici, i poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia; preghiamo per tutti quelli che nel Parlamento, nella società, sulle strade, continuano la battaglia della democrazia con coraggio e amore.

Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà, perché senza nulla togliere alla giustizia, che deve trionfare sulle nostre bocche, ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri.”

La giornalista Enza Nunziato si sofferma sul martirio laico di Vittorio Bachelet, un uomo che nel sociale, nella politica, nella famiglia aveva profuso amore, rispetto della legalità e delle regole testimoniando giorno per giorno il suo essere cristiano, il suo essere credente e seminatore. Seminare, infatti, era un verbo che amava molto Vittorio Bachelet, responsabilmente al servizio dello Stato democratico in cui credeva fermamente e al quale ha donato la propria vita.

Era considerato un anticipatore della dottrina conciliare sulla vocazione dei laici nella Chiesa e nel mondo. Bachelet era convinto dell’importanza dell’autonomia dei poteri come risultato dalle grandi rivoluzioni moderne che avevano restituito alla Chiesa un’autonomia e una missione religiosa e spirituale. Nello stesso tempo, era convinto che la legittima autonomia e laicità della società politica non poteva conservarsi senza una sua effettiva animazione spirituale, religiosa ed etica, senza di cui l’autonomia sarebbe diventata machiavellica indifferenza ai fini e ai valori e la laicità radicale avrebbe potuto rovesciare l’assolutismo di tipo teocratico ad un assolutismo laico.

Amava lo Stato democratico contro ogni totalitarismo, che considerava un asservimento degli uomini allo Stato. Convinto degasperiano, vedeva la realizzazione del progetto politico in cui sul vecchio Stato liberale si andava ad innestare l’esperienza del movimento cattolico e dell’idea cristiano-democratica.

Seguendo le indicazioni proposte nell’intervista dalla giornalista Nunziato, Giovanni Bachelet traccia la figura del padre come uomo e come politico. In particolare, come politico, Giovanni Bachelet si sofferma sulla scelta del padre di candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura. Afferma che in famiglia si discusse molto di tale decisione soprattutto in relazione all’esperienza religiosa vissuta da Vittorio Bachelet come presidente di AC, in un periodo in cui l’Azione Cattolica, dopo la guerra, con la nascita della democrazia, si allontanava dalla politica, per ritornare ai propri compiti originari quali l’evangelizzazione della parola di Dio e la formazione dei cristiani.

Vittorio Bachelet, invece, attraverso il suo impegno in politica, voleva far capire ai tanti che avevano criticato questa sua scelta religiosa, che la responsabilità dell’impegno civile e politico doveva essere personale. Una volta formati da cristiani adulti bisognava sentire il dovere di impegnarsi. Ciò non significava, tuttavia, essere condizionati ed operare come truppa comandata dalla Chiesa. La sua decisione, sostenuta dalla famiglia nonostante la consapevolezza di essere rischiosa, fu molto meditata, perché se da un lato  le magagne a cui si assisteva e i frequenti atti di violenza nei confronti dello Stato e dei partiti politici potevano rappresentare un valido motivo per abbandonare tutto, dall’altro nasceva l’entusiasmo per la presenza di alcuni politici come Moro e Zaccagnini, che per la DC sembravano essere l’ultima speranza di un rinnovamento ed un ritorno di ideali. La scelta, quindi, era doverosa, anche perché diversamente sarebbe stato inutile lamentarsi di un mondo corrotto.

Sul perché i terroristi colpirono V. Bachelet, Giovanni ripercorre alcune teorie.

Innanzitutto, afferma che le BR vivevano per avere maggiore visibilità agli occhi dell’opinione pubblica, quindi, sceglievano i loro bersagli tra i rappresentanti istituzionali, deboli militarmente. Mentre il caso Moro è avvenuto in un periodo in cui l’intelligence italiana era in crisi perché era stato smantellato il servizio anti-terrorismo, V. Bachelet è stato ucciso perché, oltre ad essere un rappresentante istituzionale, costituiva un obiettivo facile, in quanto aveva rinunciato alla scorta per non mettere in pericolo la vita di altre persone.

Vittorio Bachelet, inoltre, aveva lavorato attivamente, come membro del CSM,  alla repressione del fenomeno delle BR con strumenti quali il processo per direttissima, che permetteva di condannare i brigatisti in tempi molto più rapidi, evitando che tornassero in libertà per prescrizione dei termini o per altri motivi.

E’ vero anche che le BR erano solite inviare avvisi alle Istituzioni, attraverso messaggi come quello di ucciderne uno per educarne cento.

Come ultima ipotesi, si potrebbe pensare ad un complotto contro quelli che erano considerati i riformisti cristiani.

Secondo Giovanni Bachelet, era impossibile costituire un gruppo terroristico come le BR, se non ci fosse stata una complicità culturale di professori e maestri, che pur non essendosi sporcati le mani con il sangue di nessuno, hanno diffuso ampiamente idee velenose, come quella secondo cui per garantire il bene dell’umanità bisognava uccidere degli innocenti.

Spera che la memoria del padre serva per tenere in vita quegli ideali che non tramontano mai e che consentono di vivere in pace. La memoria, a suo avviso, non va mai strumentalizzata per alimentare altra violenza e altro rancore. Il rancore non aiuta a superare il passato. Il perdono è l’unica base di speranza per essere a sua volta perdonati. Il perdono e la giustizia non sono due elementi che si contraddicono ma si integrano.

A conclusione dell’intervista, Giovanni Bachelet rimpiange la presenza del padre, perché non può più sentire una sua carezza, ascoltare i suoi consigli, le sue opinioni, perché avrebbe voluto confrontarsi con lui sulle attuali problematiche socio-economiche:, quali la globalizzazione, le nuove tecnologie e  lo sfruttamento minorile. Saluta i giovani presenti ricordando l’insegnamento di Vittorio Bachelet: “credere nel confronto delle idee e non aver paura di essere cristiani, non aver paura di parlare con chi non la pensa come noi, partendo dal presupposto che dagli altri si può sempre imparare qualcosa.”

Dopo l’emozionante e significativa testimonianza di Giovanni Bachelet, altrettanto intensa è stata quella dell’olimpionico italiano, Arturo Di Mezza, il quale ha parlato di sport in un’accezione più ampia, cioè come aiuto alla crescita nella legalità e nel rispetto delle regole. Afferma, infatti, che lo sport non deve essere ricondotto solo ad un risultato o a una prestazione. Bisogna gareggiare con lealtà ed accettare la sconfitta allo stesso modo della vittoria. Ciò è possibile, secondo Di Mezza, combattendo battaglie contro l’uso di sostanze illecite nel mondo sportivo, come il doping, perché un campione che  adotta comportamenti scorretti ha ripercussioni negative sui giovani che lo considerano un modello da seguire e fa venir meno la credibilità e la certezza dell’esistenza di alcuni valori fondamentali

A conclusione della serata, sono stati premiati i vincitori della Borsa di studio “Erminio Ciancio” del corso di formazione 2006/2007:

I classificata: Gessica Guerrera del Liceo Scientifico di Guardia S.; premia Giovanni Bachelet

II classificato: la V B dell’ITCG “ Marzio Carafa” di Cerreto S.; premia Arturo Di Mezza.

III classificato: Giuseppina Cappella dell’ITCG “Marzio Carafa” di Cerreto S.; premiano i genitori di Erminio Ciancio.

III classificato: Gilda Mazzone del Liceo Classico di Solopaca; premia il vescovo.

Abbamondi Agata

Lombardi Patrizia

Mancinelli Ada

 

 

Prolusione CittadinanzAttiva 2007-2008

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