CittadinanzAttiva 2007-2008. Incontro sul tema “Partecipare alla comunità. Responsabilità personale e percorsi istituzionali: profili giuridici”. Relatore: Prof.Pier Paolo Forte

Il giorno 12 gennaio 2008, in occasione della quarta lezione del Laboratorio di formazione sociale CittadinanzAttiva, organizzato dal Centro Studi Sociali Bachelet ONLUS, è intervenuto, sul tema “Partecipare alla Comunità. Responsabilità personale e percorsi istituzionali: profili giuridici”, il prof. Pier Paolo Forte, docente universitario all’Università del Sannio.

Il prof. Forte, ricordando che viviamo in una Repubblica Costituzionale, apre la lezione soffermandosi sulla definizione di Repubblica, con l’intento di distanziarsi e di smentire l’idea secondo cui erroneamente la si identifica solo ed esclusivamente con lo Stato. Come sancito dal I comma dell’art. 114 della Costituzione, infatti, la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Pertanto, è un composto istituzionale fatto di una serie di organizzazioni di tipo comunitario, tra cui è inserito lo Stato, ma anche altre strutture umane.

Precisa che il linguaggio utilizzato nel 1948, anno in cui è stata scritta la nostra Costituzione, può presentare, a 60 anni di distanza, a causa dell’evoluzione storica, delle parole che, alle volte, non sono esplicite, chiare, lapidarie, che riescono ad essere comprese con rapidità quindi hanno bisogno di essere interpretate attraverso la cosiddetta ermeneutica. In quest’ottica fa riferimento all’art. 2, ponendo la propria attenzione sulle “formazioni sociali”. Senza tener conto delle innumerevoli discussioni, definizioni e possibilità di interpretazione presenti e senza cercare un’analisi tecnico- giuridica, il prof. Forte parla di organizzazioni umane, diverse e ulteriori rispetto a quelle istituzionali precedentemente elencate nell’art. 114, in cui l’aggettivo “sociale” lascia intendere che hanno scopi non necessariamente individuali, egoistici, lucrativi.

Partendo dal presupposto che la Carta Costituzionale si trasforma in realtà lentamente, con il passar del tempo, le formazioni sociali sono l’espressione di una frase, a lungo disattesa e fraintesa, riportata nel II comma dell’art. 4, che recita: “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e secondo la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” Nella maggior parte dei casi l’immaginazione di ognuno di noi si indirizza verso due ambiti: la famiglia e il lavoro, cioè si indirizza verso la definizione del nostro ruolo nella collettività. In altri termini, progettando la nostra vita personale diventiamo protagonisti anche di una vita collettiva. Ognuno di noi svolgerà qualcosa e si occuperà di qualcosa e così facendo rientrerà in ciò che la nostra Costituzione definisce il dovere di scegliere un’attività, ma in realtà all’interno della Carta costituzionale è presente un’altra idea che sta a noi, individualmente e collettivamente, decidere se accoglierla o meno, se renderla reale oppure no, cioè la possibilità di svolgere una funzione. Ciò significa assumersi un compito che abbia una conseguenza collettiva. Assumersi una responsabilità in ordine ad un pezzo, piccolo, medio, grande che sia, della nostra vita insieme. Nell’idea della nostra Costituzione c’è la possibilità che ciascuno di noi diventi qualcuno, cioè sia un punto di riferimento, una forza alla quale gli altri guardano, capace di radunare intorno a sé una pluralità di persone, di convincerle, di farle muovere, di farle orientare verso diversi obiettivi. Il prof. Forte contrappone l’arricchimento materiale, effimero e temporaneo a quello che può scaturire, invece, dalla fatica, dalla responsabilità, dagli oneri, definendolo un arricchimento eticamente corretto, ma soprattutto bello, perché si accumula negli anni e persiste nel tempo.

Se si congiungono i due articoli della Costituzione, l’art. 4 (sulle formazioni sociali) e l’art. 2 (sulla responsabilità dell’individuo), è possibile comprendere l’art. 1 della Costituzione, definito il frontone della nostra carta costituzionale, che si apre con la frase: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e nel  secondo comma continua recitando: “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

La prima generazione che ha sperimentato la carta costituzionale si è abituata a discutere di politica in termini di tutele delle libertà e dei diritti. E ancora oggi la gran parte dei dibattiti politici sembrano orientati a discutere su come debbano essere configurate le libertà e i diritti di ciascuno di noi. Ciò è stato comprensibile per una generazione che ha vissuto il totalitarismo fascista e prima ancora una storia unitaria, intesa come elitaria. Tuttavia, i diritti e le libertà costano. Per ogni diritto di qualcuno di noi, c’è qualcun altro che lo deve pagare. Ogni libertà che ci riguarda direttamente può essere una limitazione di libertà di qualcun altro. Esiste, quindi, un altro fronte dei diritti e delle libertà, che per amore della simmetria sarebbe facile chiamarlo il fronte dei doveri, ma il prof. Forte preferisce parlare del fronte delle responsabilità. Coloro i quali hanno lottato per difendere la propria libertà o il proprio diritto erano schiavi, sudditi. Una volta vinta la battaglia di affrancamento e di liberalizzazione, sistemati i diritti, definite le libertà e assestato il sistema istituzionale, è arrivato il momento di essere il popolo sovrano, di essere ciascuno di noi titolare di un pezzo di sovranità.  Essere sovrani significa avere dei privilegi, ma anche comportarsi, badando prima di tutto alle proprie responsabilità, ai propri doveri e alle esigenze altrui. In questa maniera, capovolgendo la logica, si predispongono i costi e gli investimenti che consentono un rafforzamento dei diritti e delle libertà.

La sfida delle nuove generazioni, afferma il prof. Forte, è interrogarsi su cosa bisogna costruire e cosa lasciare in eredità. In altri termini, ognuno di noi ha il dovere di lasciare qualcosa, una scia, o come la definisce Philip Roth una macchia, anche minuscola.

Cadute le ideologie, le illusioni dell’Illuminismo ed essendo la tecnologia un insieme di protesi, che non può soddisfare pienamente, la grande bandiera che dobbiamo prendere in mano è la costruzione della Repubblica Costituzionale, o meglio il pezzo inattuato della nostra Costituzione, quello della responsabilità che fa di ciascuno di noi un sovrano. Se ciò diventasse tale, comporterebbe fatica, impegno, presenza, dibattito, litigio, dolore, difficoltà di rapporti, possibilità di soddisfazioni, protagonismo, segno storico, riscatto del Mezzogiorno, nuova politica, approccio meridiano, lotta contro alcune idee del mondo in declino (efficientismo economico, arricchimento individuale, disparità nelle distribuzioni delle ricchezze, centralità del Nord Europa, convivenza, abbandono della filosofia, dello spirito, del valore del tempo, delle relazioni sociali).

Avviandosi a conclusione, il prof. Forte riporta una ricerca sulla povertà dell’Italia condotta da un istituto di ricerca del centro nord, dalla quale è emerso che, in relazione alla povertà reale, l’Italia si presenta divisa in tre, mentre in base alla povertà percepita, cioè indagando su quanto ci sentiamo insoddisfatti, il paese si è capovolto, perché il meridione è diventato settentrione. Il sistema di ammortizzazione sociale che esiste nel mezzogiorno dato dai legami familiari, dalle solidarietà, dalle forme di comunanza di paese, consentono anche a chi ha pochi soldi di condurre una vita soddisfacente e di avere uno stabile sistema di relazioni e di affetti.

Il prof. Forte, ribadendo che la Repubblica non è lo Stato ma un insieme di istituzioni, precisa che sono repubbliche anche i Comuni, le province, le regioni, e in particolare le organizzazioni che si danno per obiettivo un impegno collettivo e politico con la p minuscola. Ciò significa che ogni qualvolta che la costituzione assegna una funzione alla Repubblica e si sostituisce il sostantivo “Repubblica” con i suoi componenti, questi compiti spettano alle istituzioni, ma allo stesso tempo anche alle organizzazioni di cittadini. Questi compiti, quindi, diventano una nostra responsabilità e un nostro potere da gestire e governare.

E’ nostra responsabilità di sovrani attrezzarci per saperli fare bene e se sappiamo farli bene,  dobbiamo anche essere sufficientemente forti per poterli condurre con attenzione. Tutte le funzioni pubbliche, pertanto, potrebbero essere condotte da noi cittadini senza scomodare partiti politici e sindacati. Di conseguenza, anche le risorse pubbliche stanziate potrebbero essere intercettate dalle organizzazioni civiche e di cittadinanza, non a scopo personale, per far soldi o per trovare un lavoro, ma per essere sovrani.

Riprendendo l’art. 2, secondo cui: “le formazioni sociali sono quelle nelle quali ciascuno di noi svolge la sua personalità. La repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, il prof. Forte precisa che il nostro impegno nella collettività, il nostro protagonismo nel sociale, fuori dai partiti politici e dai sindacati, non è mosso solo ed esclusivamente da ragioni di solidarietà, ma potrebbe essere legato a ragioni di impegno civico, di dovere civile, di considerazione della cittadinanza, di ambizione personale. Anche queste motivazioni, secondo il prof. Forte, sono parte integrante del gioco. Non tutti gli uomini sono solidali, però ciò non toglie che il protagonismo possa accadere a titolo di sovranità. Quindi, non ci limitiamo ad immaginare l’impegno collettivo solo come un impegno solidaristico, che appartiene ad una categoria morale. E’ necessario far riferimento, invece, alle diverse categorie etiche, in virtù delle quali ognuno di noi concorda con persone che la pensano diversamente da un punto di vista morale, altrimenti si rischierebbe di rimanere chiusi in un gruppo ristretto.

Le vecchie generazioni hanno potuto operare in questa direzione con facilità perché esistevano dei partiti politici forti, mentre le nuove generazioni, non avendo questi paradigmi e considerando la morale indefettibile, che varia da soggetto a soggetto, devono essere disposte, sul piano etico, al compromesso, alla trattativa, all’incontro e alla mediazione.

Agata Abbamondi

Patrizia Lombardi

Ada Mancinelli

Prof. Pier Paolo Forte 12 gennaio 2008

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